La crisi di Governo arriva, non casualmente, subito dopo l’approvazione del Decreto sicurezza bis. Una coincidenza troppo palese per non far pensare ad un abile manovra utile alla propaganda nella prossima campagna elettorale per distrarre l’attenzione dai veri problemi sociali ed economici del Paese, come l’evitare l’attivazione delle clausole di salvaguardia con pesanti tagli lineare a tutto lo stato sociale (sanità, scuola, ecc) e l’aumento indiscriminato dell’IVA.
Nel merito, una cosa è coniugare sicurezza con serenità, certezza del lavoro e della retribuzione, salute, prospettive di vita, di futuro per noi, per i giovani, per i bambini, per i ragazzi. Un’altra è associarla solamente a ordine pubblico, procedure legali, inasprimento delle sanzioni amministrative e penali, distruzione di imbarcazioni e abbandono di persone in pericolo al loro destino.
Per noi il termine “sicurezza” è una parola positiva, una necessità e un’aspirazione di tutti noi, ma nel testo del Decreto e nei messaggi che questo Governo lancia, il termine sicurezza è coniugato solo alla PAURA.
Sulla gestione della pubblica sicurezza e la riforma del codice penale la legge prevede, per esempio, l’inasprimento delle sanzioni in occasione di dimostrazioni pubbliche e l’introduzione di misure restrittive che nei fatti scoraggiano l’organizzazione e la partecipazione a manifestazioni pubbliche, che sono il modo più diretto con il quale la cittadinanza può esprimere il proprio pensiero, rivendicare i propri diritti, agire le vertenze sul lavoro.
L’impressione sempre più netta è che si attribuiscono poteri discrezionali atti a limitare libertà civili e contrastare il dissenso attraverso l’inasprimento di misure tese a limitare ogni situazione che possa diventare occasione di contestazione.
Di contro, in questo provvedimento mancano quelle misure che costituiscono la vera risposta in materia di sicurezza: efficientamento degli organici delle forze di polizia - oggi allo stremo a causa del mancato turnover, della mancanza di mezzi, delle cattive condizioni di lavoro in cui sono costretti a operare.
I vigili del fuoco, ad esempio, così come i colleghi della polizia di Stato, avevano sperato di aver risolto gran parte dei loro problemi economici, contrattuali e di organico e sono invece rimasti delusi.
Lo schema invece è ancora quello di intervenire in materia di immigrazione e di ordine pubblico, continuando a trattare il tema migratorio in una logica persecutoria perseverando nell’errore di confermare il binomio immigrazione/questione di ordine pubblico. Una guerra ideologica nei confronti dei migranti, con provvedimenti che colpiscono coloro che prestano soccorso. Un fatto gravissimo sul piano etico, morale oltre che giuridico, perché criminalizza di fatto il salvataggio dei naufraghi.
Riteniamo che l’Europa debba farsi carico complessivamente della gestione del tema migratorio e che l’Italia debba essere attiva nei tavoli europei dove si discute e si decide.
Siamo convinti che il nostro Paese debba muoversi con autorevolezza e credibilità perché si concerti una politica comune che regoli il soccorso in mare, la redistribuzione dei naufraghi, l’accoglienza e l’integrazione dei richiedenti asilo. Tutto ciò basato su una condivisione delle responsabilità di tutti i Paesi membri per contrastare efficacemente in tal modo l’insicurezza, l’esclusione e le marginalità sociali indotte dal fenomeno.
Per la CGIL salvare vite umane è un dovere che risponde a precisi obblighi umanitari e che non dovrà essere mai considerato un crimine e pertanto non possiamo che condannare fermamente questa legge.
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