L’origine della Camera del Lavoro di Pistoia

I compiti della Camera del Lavoro

Il 7 luglio 1901 si pubblica a Pistoia il primo numero del giornale “L’Avvenire” (Giornale socialista del circondario di Pistoia) che nel suo articolo di fondo afferma: “L’Avvenire mette le sue colonne a disposizione della Camera del Lavoro e delle singole leghe di resistenza che la compongono, per la pubblicazione degli atti relativi, inviti per adunanze delle commissioni o generali, avvisi di conferenze, agitazioni ed altro.”
Sullo stesso numero, vengono tracciati i compiti che la Camera del Lavoro si propone: “fissa per tutti un orario umano di lavoro, un salario equo sufficiente ai bisogni di ogni ordine degli operai, modifica i regolamenti degli stabilimenti, i contratti di lavoro, cercando di rendere meno tristi le condizioni degli operai sia dal lato del trattamento che da quello delle condizioni igieniche e di sicurezza.” La Camera del Lavoro intende anche “assistere i disoccupati cercando di impiegarli dove c’è richiesta di lavoro, là dove l’apposita commissione di collocamento sa che occorrono braccia, ottenendo così che l’operaio si impieghi e non si venda al mercato come merce umana.”
L’impegno è anche a sostenere economicamente i disoccupati e gli scioperanti.
Ma è anche una funzione culturale quella che preme ai sindacalisti agli inizi dello scorso secolo: “promuovere la educazione e la istruzione della classe operaia acciocché alle conquiste materiali corrispondano le conquiste intellettuali”.

I contributi

Per la costituzione della Camera del Lavoro pistoiese, arrivano vari contributi, tra cui quello di L. 100 da parte del Direttore della Camera di commercio di Padova, conte Paolo Camerini, e quello di L. 400 della Giunta provinciale amministrativa.

La nascita delle leghe

Sempre “L’Avvenire” riporta, il 4 agosto, la riunione dei calzolai di Pistoia, che costituiscono la loro lega di resistenza. L’11 agosto nasce la lega dei lavoratori del libro, cioè di tipografi, eleggendo come presidente Alberto Pacinotti. Lo stesso giorno, si riporta anche la nascita della lega dei tappezzieri. A fine agosto, le leghe sono ormai numerose: carrozzieri, metallurgici, muratori, fornai, infermieri, calzolai, fornaciai, falegnami, cartai, pastai, litografi e riquadratori, tipografi.

La nascita ufficiale: 30 agosto 1901

La Giunta e il Sindaco fanno nascere, sempre nel 1901, un Ufficio del lavoro, la cui composizione prevede 15 padroni più il sindaco contro solo 5 operai. Per questa ragione, la Direzione provvisoria della Camera del lavoro, il 30 agosto dichiara: “che l’Ufficio del Lavoro di Pistoia è da rigettarsi come composto da 16 padroni e soli 5 operai e che esso tende a spezzare le Leghe di resistenza” e quindi dichiara ufficialmente costituita la Camera del Lavoro. Si decide anche di radiare gli operai che aderiranno all’Ufficio del Lavoro voluto dal Municipio.
La sede provvisoria è presso la sede del Partito socialista, in via de’ Rossi. Successivamente la sede sarà ubicata in corso Vittorio Emanuele 9. La Giunta comunale concesse un contributo straordinario di L. 200.
I primi componenti la Commissione Esecutiva, eletti il 23 marzo 1902, sono:
Armando De Petri (fabbro)
Pietro Rafanelli (fornaciaio)
Michele Regolini (tipografo)
Orazio Vivarelli (carrozziere)
Eliseo Lucarelli (muratore)
Colombo Leporatti (carrozziere)
Balilla Capecchi (pesaio)
Il segretario è Giovanni Martini.
Il numero degli iscritti è 1500, più 700 lavoranti il carbone.

Subito dopo la guerra

La Camera del Lavoro di Pistoia ha ripreso le sue attività il 20 dicembre 1944 per iniziativa di Silvio Pedemonte, Silvio Bovani e Armando Valdesi, tutti dirigenti sindacali appartenenti al Partito Comunista Italiano; in seguito, ne fecero parte anche socialisti e democristiani.
Sia i partiti che il Comitato di Liberazione Nazionale intendevano dare agli Alleati l'immagine di una provincia nella quale la riorganizzazione delle istituzioni statali e civili avvenisse sotto l'autorità dei rappresentanti del movimento di liberazione nazionale.
Dall'organigramma risulta che l'attività della Camera del Lavoro era suddivisa nei tre grandi settori dell'industria, dell'agricoltura e del commercio.
Già nel 1944 erano state costituite 12 sezioni sindacali e 6 sezioni camerali, con un totale di 2646 iscritti, di cui 420 impiegati.
La provincia aveva subito gravissimi danni dalla guerra. Quasi tutte le aziende avevano registrato distruzioni per il 60% dei propri beni. Vi erano inoltre drammatici problemi di alimentazione, mercato nero, una disoccupazione che comprendeva alla fine del 1944 circa 8000 persone. La S. Giorgio, la più grande concentrazione industriale pistoiese, aveva subito danni alle attrezzature per il 90%.
La ripresa vera e propria dell'attività sindacale avvenne all'inizio del 1945, con l'avvio delle lotte per gli adeguamenti salariali che portarono alla concessione da parte dell'ufficio provinciale del lavoro di un aumento di 18 lire giornaliere sulle paghe, retrodatato al 16.8.1944. I salari medi si aggiravano in quel periodo intorno alle 3.500 - 4.000 lire mensili (meno di 2 Euro).

Al momento del suo primo congresso, il 18 febbraio 1945, la Camera del lavoro contava già circa 10.000 tesserati, di cui 3500 contadini, divisi in 27 sindacati di categoria e 10 sezioni camerali.
Si trattò di un momento di grande entusiasmo per il sindacato e i lavoratori pistoiesi, che avevano dato un contributo importante alla Resistenza e che furono impegnati nel lavoro di ricostruzione, seguendo le direttive generali della Cgil.

1946: il sindacato sceglie la repubblica

Il 1946 fu un anno di grandi lotte politiche ed economiche: la battaglia per il referendum istituzionale e le elezioni nella Costituente diedero nuovo slancio al sindacato, che sostenne la soluzione repubblicana. Erano intanto in crisi, con riduzione dei posti di lavoro, la Smi e la cartiera Cini, che fu occupata, finché a marzo i proprietari trattarono con il sindacato, concludendo un accordo positivo per i lavoratori. In cambio della cessazione dell'occupazione e della ripresa della produzione, l'azienda si impegnò ad assumere 70 operai e a non licenziare nessuno.
Nel 1946 cominciarono anche le lotte contadine più dure. L'eco della lotta dei mezzadri fu forte anche nel Secondo congresso della Camera del Lavoro di Pistoia. Il segretario Valdesi fece riferimento nella sua relazione alla evoluzione della lotta dei contadini toscani.

1947: Gli operai solidali contro i licenziamenti

Anche il 1947 vide il sindacato pistoiese affrontare importanti crisi, con il licenziamento da parte della Smi di 1000 operai, pur condotto attraverso una trattativa sindacale che portò all'ottenimento di una dilazione nei licenziamenti e di una specie di premio di licenziamento. Tutto il 1947 trascorse con mobilitazioni attorno alla Smi e non mancò uno sciopero generale. I lavoratori della S. Giorgio, un'azienda che non presentava gli stessi problemi, aderirono compatti agli scioperi; il risultato fu la pubblicazione da parte dell'Associazione degli Industriali di un manifesto provocatorio ed offensivo sul piano morale nei confronti dei lavoratori. Le mobilitazioni erano reputate un frutto della propaganda dei partiti di sinistra, che nel frattempo erano usciti dal governo; si minacciavano inoltre licenziamenti. Le proteste operaie che ne seguirono furono un pretesto perché l'Associazione Industriali chiedesse una dura repressione. Due dirigenti sindacali, Lucarelli e Palandri, vennero così condannati a 9 mesi e 13 giorni di reclusione ciascuno (poi amnistiati), nonostante le testimonianze a loro favorevoli di un Commissario di pubblica sicurezza.
Intanto, le lotte contadine portarono alla firma della cosiddetta "Tregua mezzadrile", con la quale l'organizzazione padronale riconosceva la divisione dei prodotti al 53% in favore del mezzadro. La lotta dei mezzadri nel pistoiese, tuttavia, rimaneva ancora frammentata.

1948: Un anno di lotte durissime e di divisioni all'interno del sindacato

L'anno si apre con un grave episodio di repressione da parte delle forze dell'ordine: il 9 gennaio la polizia interviene contro un blocco stradale innalzato dalla popolazione di Bonelle che dimostrava solidarietà nei confronti dei lavoratori del Valdinievole in sciopero generale per la difesa dell'occupazione e contro i licenziamenti. Un cronista dell'epoca racconta: "la Celere, senza alcun preavviso, iniziava il lancio di bombe lacrimogene contro coloro che presidiavano il blocco stradale. Le bombe venivano dai dimostranti rilanciate sulla Celere la quale sparava a lungo sulla folla. Tra il fuoco delle opposte parti rimanevano feriti 6 dimostranti e 6 uomini della Celere." A scatenare la protesta, la decisione, sorretta dalla Democrazia Cristiana, dell'Ing. Cavallucci - titolare dell'omonima ditta di Pescia - di smobilitare l'azienda, nonostante la concessione di un prestito di 50 milioni di lire da parte del Ministero dei Lavori pubblici.
L'uscita dei partiti di sinistra dal governo intanto aveva portato divisioni anche all'interno del sindacato. Già nel 1947 il segretario Valdesi aveva, durante il congresso, espresso un'accorata richiesta di unità, "unica e sola garanzia di forza contestativa della classe opearia". La polemica si riaccese sul ruolo delle Acli, accusata di attività antiunitaria dai comunisti e difesa sa Rodolfo Turco. Nel dicembre 1947, uno sciopero generale non ebbe l'adesione della corrente cristiana, e ai festeggiamenti unitari del primo maggio 1948 non parteciparono gli esponenti sindacali democristiani.
Di fronte a questi episodi, la maggioranza socialista della Cgil non manifestò subito una posizione unanime. Il grupo che faceva capo a Bitossi si schierava per l'espulsione. La corrente socialista e un folto gruppo di comunisti, fra cui Di Vittorio, sostennero l'utilità di nuovi tentativi di riappacificazione.
La rottura si formalizzò dopo l'attentato a Togliatti. La corrente cattolica cominciò a muoversi per formare uan nuova organizzazione, anche se formalmente faceva ancora parte della Cgil. Il 5 agosto 1948 il comitato direttivo della Confederazione, con il voto anche di socialdemocratici e repubblicani, ratificava la decadenza dei dirigenti cattolici dai loro incarichi confederali.
In questo clima di gravi tensioni politiche e sociali, Ugo Schiano, giovane operaio comunista della S. Giorgio, morì durante una manifestazione degli operai della Smi, che aveva intenzione di licenziare 500 operai.
La decisione della Smi portò ad estenuanti iniziative e trattative che coinvolsero anche la Fiom e la Cgil nazionali. Vi furono pressioni nei confronti del Ministero, della Associazione industriali, della burocrazia statale locale; vi furono scioperi e manifestazioni continue, che coinvolsero non solo la montagna ma tutto il pistoiese, come in occasione dello sciopero generale dell'11 settembre.
Il 16 ottobre, gli operai della Smi, esasperati, decisero di tenere una grande manifestazione a Pistoia: una vera e propria "marcia della fame" della popolazione montana. In questa manifestazione scoppiarono gli scontri in cui fu ucciso Schiano.
Così la stampa locale ricostruisce i fatti: "Stamani sono scesi a Pistoia 1200 lavoratori della Smi. Erano accompagnati dalle loro donne e dai loro figli. In città si sono aggiunti al corteo i 2000 dipendenti della S. Giorgio e una enorme folla di operai, impiegati, cittadini. A mezzogiorno la fila di donne che apriva il corteo è apparsa in piazza S. Leone. È stato allora che da un portone del palazzo della Prefettura un graduato della Celere ha lanciato la prima bomba lacrimogena. Contemporaneamente il forte contingente di polizia che sbarrava l'ingresso al palazzo, puntando i mitra, ha sceso a precipizio la gradinata antistante la Prefettura e si è avventato sulla folla dei lavoratori coi manganelli alzati. Poi gli agenti hanno cominciato a sparare all'impazzata." Un morto, Ugo Schiano, e sei feriti.
Il corteo funebre, il 18 ottobre, giorno di sciopero generale in Toscana, si trasformò in una immensa manifestazione.

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