Non un passo indietro

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Viviamo in un Paese in cui lo scollamento fra la classe dirigente dell’attuale Governo e il disagio dei cittadini è ormai abissale. Assistiamo ad una politica corrotta, che non guarda all’interesse del Paese ma al benessere di pochi, figlia del conflitto di interessi e sostenuta da un sistema clientelare e da una società spesso narcotizzata dalle televisioni e da un modello di vita che ci hanno fatto mangiare e digerire negli anni. Noi giovani cresciuti con la televisione berlusconiana siamo i primi a vivere questa dimensione, fatta da tronisti e starlette, da escort e magnaccioni, da individualismo e solitudine. In questi anni però la rassegnazione all’evidenza non ha vinto.

Le proteste studentesche e le lotte sociali non solo sono state costanti, ma si sono rafforzate e allargate. Noi studenti siamo stati il filo conduttore di tutte le proteste che hanno scosso questo Paese, partendo dal nostro disagio, dalla rabbia per vedere le nostre scuole e le nostre università distrutte, abbiamo proposto e portato avanti un’idea alternativa di Paese, che partisse dalla conoscenza per cambiare basi e presupposti. In questi mesi siamo stati accanto ai lavoratori e alle lavoratrici, alla società civile, ai movimenti per i beni comuni, per l’acqua pubblica e contro il nucleare, a chi con piazze e mobilitazioni condivideva un’altra idea di Paese, un’altra idea di mondo, di rapporto tra i generi, di risoluzione dei conflitti, di libertà d’informazione, di lavoro, di difesa e attuazione della Costituzione Italiana.

Dopo un autunno di mobilitazioni, questa primavera non ci ha colto impreparati, con determinazione vogliamo prendere parte e appoggiare lo sciopero generale indetto dai lavoratori e dalle lavoratrici della CGIL per il 6 maggio. Crediamo che nel quadro politico in cui ci troviamo lo sciopero generale acquisti un significato determinante per le sorti di questo Paese. Questo governo è partito proprio dalla conoscenza e dal lavoro per distruggere l’Italia, tagliando tutte le risorse, cercando di smantellare il carattere pubblico di scuola ed università e distruggendo l’idea stessa di diritti e tutele per tutti.

L’accordo separato sul modello contrattuale ha aperto la strada ad una grave crisi di democrazia che parte proprio dal lavoro. La legge Gelmini, gli accordi separati a Pomigliano e Mirafiori, nel settore del pubblico impiego e, recentemente, in quello del commercio, sono tutti passi che mirano a costruire una società in cui si abbassano i diritti fondamentali, si isolano i soggetti sociali per aumentare un divario, necessario per portare avanti una politica tesa alla competitività, costruita sulle spalle dei più deboli, e non sui diritti, sulla qualità del lavoro, sulla qualità dell’istruzione, sulla qualità della ricerca, sulla qualità del lavoro e della vita dei giovani che dovrebbero avere il diritto di essere il presente e il futuro di questo Paese.

Come abbiamo ribadito il 9 aprile, noi non siamo soltanto il futuro di questo Paese, ma siamo il presente ed è da oggi che pretendiamo cambiamento. Non accettiamo l’idea di vivere e di ereditare un Paese che si basa sull’annullamento del contratto nazionale, sulla cassa integrazione e la disoccupazione giovanile, sul benessere di pochi e la sofferenza di tanti, su un lavoro sottopagato, senza diritti, su lavoratori costretti a rinunciare alle tutele sindacali pur di non perdere il lavoro. Non accettiamo di vivere in un paese che considera i giovani l’ultima ruota del carro, che non solo non si cura di noi costringendoci spesso ad emigrare per ambire a prospettive migliori, ma che ci umilia continuamente, nascondendo l’inadeguatezza nel dare risposte con campagne e dichiarazione che individuano in noi il problema e non la soluzione.

È ormai chiaro che si vuole modificare dalle fondamenta l’idea di scuola ed università che permea la nostra Carta Costituzionale, cancellando dalla memoria l’idea dell’accesso al sapere di massa, dividendo il Paese a partire dalla formazione, invertendo il ruolo stesso del sapere, dell’innovazione, non più garanzie per l’uguaglianza ma ostacoli ghettizzanti, portando il diritto allo studio ad essere succube del mercato e abbandonando l’idea di scuola, università e ricerca come guida della società per la cultura, per l’economia, per l’innovazione.

In una fase di crisi economica e di sistema il Governo non ha scelto di rilanciare il Paese puntando sulla qualità, sulle prospettive per tutti, sull’innovazione e sulla ricerca, rimettendo in piedi il Paese con un progetto di rilancio che ci veda uniti, ha scelto la strada della divisione per continuare a governare. Ci dividono, tra figli di buona famiglia e figli di nessuno, tra studenti e pensionati, ci dividono tra i lavoratori pubblici, i lavoratori metalmeccanici e ora anche tra i lavoratori del commercio. A questa divisione noi rispondiamo unendoci ai lavoratori, ai pensionati, perché crediamo ancora nel lavoro e nell’istruzione come motore sociale e collante per il Paese, perché è il nostro Paese, ed è una Repubblica fondata non sul precariato, ma sul lavoro e sulla sua dignità. Non un passo in dietro, né oggi ne mai!

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