La Cassazione sugli infortuni mortali in itinere

Anche quando a causare la morte di un lavoratore è un evento indiretto all'infortunio professionale, l'Inail non può sottrarsi dal riconoscimento della rendita ai superstiti.

E' questo in estrema sintesi il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione del 7 maggio, chiamata a pronunciarsi su un ricorso sollecitato dallo stesso Istituto assicuratore, contro un il pronunciamento della Corte d'Appello di Catanzaro, con il quale l'Inail era stato condannato a pagare la rendita agli eredi di una persona, vittima di un incidente sul lavoro, morto per una epatite cronica, contratta a seguito di tre trasfusioni di sangue eseguite durante l'intervento chirurgico resosi necessario per curare le fratture provocate dall'infortunio.

Per l'Alta corte il ricorso Inail è infondato poiché, afferma: “in materia di infortuni sul lavoro e di malattie professionali, trova diretta applicazione la regola contenuta nell'articolo 41 del Codice Penale, per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, in forza del quale va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento”.

In sostanza, per l'Alta Corte, se la vittima sul lavoro non fosse stata costretta a sottoporsi a trasfusioni per curarsi dai danni provocati dall'incidente in itinere, nulla sarebbe accaduto e l'Inail, avendo già riconosciuto l'origine professionale dell'accaduto, avrebbe dovuto pagare la rendita ai legittimi eredi.

Prima della Cassazione, già due volte il Tribunale di Catanzaro si era espresso in tal senso riconoscendo il nesso di causalità tra l'evento morte e il lavoro, ma l'Inail, nei due gradi di giudizio precedenti, si è opposto sostenendo che “il decesso fosse riconducibile ad un pregresso contagio da epatite per le conseguenze di una emotrasfusione, erroneamente ricondotte a causa lavorativa”. Il tentativo dell'Inail, in buona sostanza, è stato quello di ricondurre alla sola negligenza degli operatori sanitari, che hanno effettuato le emotrasfusioni, la causa del decesso.

Per l'Alta Corte, invece, la concatenazione degli eventi non interrompe il nesso causale, da qui la decisione di respingere la richiesta dell'Inail di annullare le sentenze del Tribunale di Catanzaro e della Corte d'appello territoriale.

“Si tratta di una sentenza importante – spiega Franca Gasparri, della presidenza dell’Inca - che rafforza il principio di una estensione della tutela delle vittime del lavoro che deve comprendere tutte le conseguenze di un infortunio di un infortunio o di una malattia professionale dirette e indirette, mettendo al centro il valore dei diritti nell’accezione più ampia”.

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