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Riforma delle Province: cronaca di un fallimento (già da tempo) annunciato

La CGIL, insieme alle RSU ed ai lavoratori che si sono a lungo mobilitati contro gli effetti nefasti della L. 56/2014, fin dal 2011 ha preso una posizione chiara circa i rischi connessi con un modo di fare le riforme – se così si possono definire – totalmente privo di un approccio organico, finalizzato esclusivamente a dare risposte ad una crescente e populistica campagna mediatica tesa a demolire i servizi pubblici, più che ad esigenze reali di razionalizzazione ed efficientamento, solo a dimostrazione della capacità della classe politica di essere in grado di effettuare dei cambiamenti, a qualsiasi costo e purché sia: anche a costo di peggiorare i servizi, ledendo il diritto dei cittadini ad avere prestazioni universali e di qualità.

I rischi connessi con una legge, la Del Rio, che ha di fatto anticipato i contenuti della riforma costituzionale, erano evidenti: ci troviamo adesso a subire gli effetti di una norma scritta male, pensata male e attuata male, adottata nella presunzione autoreferenziale di essere l’anticipazione di una riforma costituzionale che non entrerà mai in vigore poiché respinta dal 60% di coloro che si sono recati alle urne il 4 dicembre scorso. Esiste quindi un errore di metodo, nel macchinoso percorso che ha portato alla riforma delle Province, dal quale sono scaturite le enormi e scriteriate conseguenze di merito, a partire dai tagli indiscriminati che hanno di fatto iniziato ad uccidere e sterilizzare questi enti ancora prima che fosse compiuto il percorso legislativo.
Il Governo ha raccontato ai cittadini che grazie alla riforma delle Province avrebbero pagato meno tasse e ricevuto servizi migliori.
Purtroppo è accaduto l’esatto contrario. I tre miliardi di euro sottratti alle Province (e quindi ai territori) non rappresentano un “taglio” alla spesa pubblica bensì un prelievo forzoso, incarnato nell’obbligo, da parte degli enti, di erogare allo stato gran parte del gettito dell’imposizione fiscale provinciale, che è rimasta esattamente come prima, con l’unica conseguenza di svuotare la qualità dei servizi e di renderli indisponibili ai cittadini.
Lungi dal ridurre i costi della politica e gli oneri degli sprechi, l’unica cosa che è stata compressa e ridotta sono i diritti dei cittadini a fruire dei numerosi servizi dei quali le province sono state rese competenti negli anni: programmazione, manutenzione delle strade, delle scuole, politiche attive del lavoro, attività di formazione, servizi didattici e di aiuto agli allievi affetti da disabilità sensoriali.
La superficialità e la sostanziale ignoranza che hanno caratterizzato gli estensori della riforma delle Province non possono adesso trovare nell’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre un capro espiatorio poiché gli effetti nefasti prodotti dalla Legge Del Rio e dalle misure contenute nelle leggi di stabilità che si sono negli anni succedute sono purtroppo un fatto compiuto e sarebbero rimasti del tutto inalterati, a prescindere dalla riforma della Costituzione.
Infine sbaglia di grosso chi afferma che uno dei frutti amari della bocciatura della riforma costituzionale è rappresentata dalla impossibilità di prorogare i contratti delle lavoratrici e lavoratori precari dei centri per l’impiego in scadenza al 31 dicembre prossimo. Il blocco delle assunzioni ai danni delle Province è in vigore da anni, così come la data di scadenza dei contratti a termine di coloro che operano presso i servizi per l’impiego è da tempo nota ai ministri del precedente (ed attuale!) Governo.
Nessuno di loro – nonostante le molteplici e reiterate promesse e dichiarazioni di intenti – ha voluto dare una stabilità a questi lavoratori e a questi servizi, così importanti in un momento di crisi occupazionale divenuta ormai strutturale.
I vari politici di turno hanno avuto anni per dare una risposta ai duemila lavoratori precari dei centri per l’impiego ma non lo hanno fatto. Siamo così arrivati, senza alcuna risposta né soluzione, alla sera del 4 di dicembre e si è compiuto l’ennesimo errore ai danni dei lavoratori e dei cittadini. Così come la funzionalità degli enti Provincia, anche i servizi ed il futuro occupazionale dei lavoratori che da anni operano nei centri per l’impiego in condizioni di incertezza avrebbero dovuto rappresentare un valore in sé, a prescindere dall’esito del referendum. Sconsiderato ed offensivo cercare adesso di spostare l’attenzione da questo dato di fatto, addossando la responsabilità di errori e mancanze che appartengono esclusivamente agli attori politici ai cittadini che hanno espresso un giudizio di merito sulla riforma della Costituzione.

Silvia Biagini
Andrea Mucci
FP CGIL PISTOIA

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