Il vivaismo pistoiese sta attraversando una fase storica molto importante. In questo contesto, spesso i mutamenti che si stanno determinando non sono il frutto di scelte strategiche elaborate con l’obiettivo di proiettare, nel migliore dei modi, il settore nel futuro, in un processo di crescite e modernità, ma sono solo il risultato di adattamenti che si stanno assumendo per rispondere alla crisi, che sebbene sia arrivata in ritardo rispetto al resto del mondo produttivo, si sta presentando con sempre maggior frequenza ed intensità, soprattutto nelle aziende di medie dimensioni.
Ad oggi si stanno profilando solo scelte e risposte proiettate nel breve se non brevissimo periodo.
La situazione congiunturale e le difficoltà che stiamo attraversando, impongono invece risposte e l’adozione di scelte lungimiranti e di lungo periodo, mettendo in primo piano, rispetto al modo tradizionale di fare vivaismo, la ricerca ed innovazione del prodotto, e dove l’aggregazione d’imprese, oggi polverizzate in una moltitudine di piccole aziende, diventi uno degli strumenti per potenziare il settore al fine di aumentarne la capacità di espansione nei mercati esteri, già oggi significata, ma ad appannaggio di poche realtà produttive. Un’aggregazione di piccole aziende “consapevole e condivisa”, e non imposta di fatto dai big locali del settore così come avviene oggi con la definizione delle regole del gioco da parte delle realtà più significative (si contano sulle dita di una mano) che determinano ciascuno le proprie filiere produttive. Quindi scelte moderne ed innovative per far fare un salto di qualità al settore nel suo complesso.
Non c’é niente di moderno invece nelle richieste che emergono in modo disarticolato, ma sempre più frequente, da parte di alcuni imprenditori locali importanti, volte ora ad ottenere un alleggerimento degli organi di controllo dello stato sulla regolarità dell’attività d’impresa che si è, dopo tanti anni, iniziato a svolgere in modo sistematico nel settore vivaistico. Settore che continua a godere di facilitazioni che derivano dal fatto che le aziende agricole vivaistiche vengono ancora oggi considerate formalmente delle società agricole semplici e tradizionali, come ad esempio quelle che coltivano mais, o alberi da frutto, ma che invece delle colture tradizionali hanno ormai ben poco, con modelli di produzione nei vivai che si avvicinano molto di più a quelli di tipo industriale, con fasi di lavorazione che vedono la pianta spostata da una parte all’altra del vivaio, se non tra vivaio e vivaio, prima di diventare prodotto finale ed essere commercializzata.
Non trovano invece alcun fondamento le altre considerazioni emerse in questi giorni e riportate a sua volta dalla stampa locale secondo le quali ci sono troppi vincoli nei rapporti di lavoro con i lavoratori occupati nelle aziende del settore, nei confronti dei quali i datori di lavoro poco potrebbero fare anche nel caso avessero a che fare con dei lavoratori vagabondi. Non è così. Gli operai agricoli, gli avventizi, i lavoratori stagionali agricoli non sono dei lavoratori privilegiati nel panorama del mondo del lavoro, anzi, al contrario, hanno in molti casi livelli di tutele significativamente inferiore rispetto ai settori industriali e produttivi. Ancora più difficile è poi la condizione dei lavoratori delle ditte in appalto, che operano cioè all’interno delle aziende vivaistiche ma alle dipendenze di un’altra impresa a seguito di processi di esternalizzazioni, che come sindacato stiamo cercando di limitare perché nate con il solo scopo di abbassare le tutele, i diritti ed il salario di chi ci lavora. Non mancano gli strumenti di flessibilità nell’impiego della forza lavoro che da sempre hanno caratterizzato un settore che più di altri deve sottostare quanto meno alle condizioni meteorologiche, ed è per questa serie di considerazioni che sa proprio di antico sentir parlare della necessità di eliminare certe rigidità che le attuali regole nei rapporti di lavoro determinerebbero.
Che cosa dovrebbero dire allora quegli operai del settore, e sono diventati tanti, ai loro datori di lavoro, che da mesi (chi due, spesso tre o quattro, fino ad arrivare a sei-sette mesi di ritardi) non percepiscono i propri compensi per crisi di liquidità delle imprese, un problema serio e sempre più diffuso, e ciò nonostante continuano ad assicurare la propria prestazione andando a lavorare regolarmente anche se non pagati?