#Arte #Cultura #Crea #Lavoro #Valore Sciopero a rovescio 28 novembre 2014
“Da alcuni anni si è iniziato a parlare di cultura come di un settore produttivo: secondo alcuni di uno dei settori produttivi per eccellenza. Va detto che questa posizione è spesso contraddetta da dichiarazioni, atti e omissioni: per molti, infatti, «con la cultura non si mangia» e il mondo della cultura è fatto di assistiti, privilegiati, parassiti.
La crisi economica di questi anni, tuttavia, ha condotto a fenomeni di forti radicalizzazione delle posizioni: la cultura è diventata un fardello insostenibile per la spesa pubblica e per ciò è necessario giungere ad un ridimensionamento del ruolo pubblico. Secondo altri, viceversa, il declino italiano consiste nell’aver trascurato questo settore, nell’averlo relegato al ruolo di comparto prestigioso ma sostanzialmente improduttivo o, nella migliore delle ipotesi, nell’averlo ridotto a settore ancillare di industrie ben più immediatamente profittevoli.”
Così si apre il contributo sui beni culturali a cura di Rita Borioni, Walter Tocci e Alessandra Untolini contenuto nel volume Tra crisi e grande trasformazione: libro bianco per il piano del lavoro 2013, puntando subito l’indice su quello che può essere considerato il cuore dei problemi che affliggono da anni il comparto della cultura, dell’arte, dello spettacolo e dei beni culturali: l’idea, pervicace ma sostanzialmente senza fondamento, di una sua “inutilità” materiale, l’essere cioè improduttivo in termini classici e quindi passibile di venir smantellato.
Contrariamente a questa impostazione, noi crediamo invece che il settore in questione possa venir inteso a sua volta come settore “produttivo”, di conoscenza certo, ma anche di beni e servizi materialmente tangibili. Dai servizi alla persona al know how necessario alla circolazione di competenze e professionalità con ricadute tanto profonde quanto vaste in settori anche limitrofi a quelli indicati, così come vengono individuati dalla United Nations Conferenze on Trade and Development (UNCTAD) che distingue tra industrie culturali tradizionali – arti, patrimonio, media – e quelle con ricadute funzionali, quali il design, l’architettura, la pubblicità, la ricerca e sviluppo creativa. Quello culturale quindi è anche un macro settore economico di avanguardia, tale da influire sulle scelte di posizionamento strategico dell’intero sistema paese nel quadro della globalizzazione.
Purtroppo, la continuità delle scelte di disimpegno economico e sottovalutazione di tutto il comparto sono una costante dello scenario italiano degli ultimi anni. Mancano una politica della domanda e dell’offerta, una visione di insieme, una razionalizzazione delle competenze, una cultura e una mentalità tanto statale quanto imprenditoriale disposte a investire in questi settrir. Eppure, nel solo campo della formazione si potrebbero generare importanti risultati, così come in quello della creazione dei contenuti, per non parlare delle risorse che sarebbero necessarie a una corretta cura e conservazione del nostro patrimonio librario, documentario, artistico, architettonico e archeologico, che è di primaria importanza tanto per le economie di conoscenza che per il turismo.
Gli enti locali, ad esempio, da anni si dibattono tra il tentativo di mantenere in funzione le istituzioni dedicate in mezzo alla scure dei tagli continui e la necessità di reperire risorse che non si trovano. In questo contesto, anche laddove ci sarebbe la disponibilità a lavorare su una politica di sviluppo, non si trova il modo di farlo. Si aggiunge una cultura, una mentalità scarsamente preparata sul piano strategico e poco propensa a riconoscere la professionalità di chi lavora nel settore.
Partendo da queste constatazioni nasce la nostra proposta di una giornata all’insegna dello slogan arte cultura crea lavoro valore, da articolarsi come uno sciopero a rovescio, una rivendicazione che a partire da una parte dai musei, luoghi al tempo stesso di conservazione ma anche di creazione, e dall’altra dai soggetti, dalle persone che con la cultura lavorano, creano, “mangiano”, sia in grado di porre con forza il problema al centro della discussione e delle scelte, sostenendo anche l’impegno degli enti locali per mantenere vivi questi luoghi. Una rivendicazione di progettualità, di impegno, di investimenti e di cambio di mentalità dunque. Uno sciopero a rovescio di chi studia o lavora nei campi della cultura, dell’arte, dello spettacolo, della musica, del teatro, dell’ingegno, della conoscenza, dei beni culturali e del patrimonio artistico. Una pratica rivendicativa che sostituisce l’astensione, il non fare, caratteristico dello sciopero tradizionale, con pratiche costruttive, il fare. Lo sciopero a rovescio è quindi un’azione che chiede, suggerisce possibili strade da percorrere, rivendica dignità, professionalità, crescita e occupazione. Una manifestazione sui generis che andrà dall’impegno a tenere aperti questi luoghi – anche in maniera straordinaria laddove risultino chiusi – all’organizzazione di visite guidate per gli studenti e la cittadinanza fino alla chiamata all’azione per singoli o gruppi impegnati in questi settori.
Una chiamata che invita chiunque vorrà aderire a proporci i propri contenuti all’interno dell’azione, nelle forme che riterrà più congeniali. Laboratori, lezioni, performance, installazioni, lo sciopero a rovescio ricerca l’impegno di tutti gli operatori, i lavoratori del settore cultura, senza distinzioni, dal custode di museo all’artista puro, dall’insegnante a chi tutela i beni culturali con la conservazione o il restauro, dal bibliotecario al ricercatore al musicista.La volonta’ e’ quella di fare una manifestazione all’insegna della solidarieta’ tra chi opera nel settore al fine di creare un’alleanza socialeper rivendicare che con la cultura “si mangia”, che è un comparto economicamente produttivo, capace di creare contenuti (per la comunicazione ad es.), innovazione (software applicati ai beni culturali ad es.), beni comuni, servizi sociali alle persone, sviluppo e buon lavoro, in particolare in un paese che vede ogni anno uscire dalle università centinaia di persone con competenze elevate.
La rivendicazione chiede quindi un piano di investimenti, una razionalizzazione delle competenze e della programmazione, spazio all’ingresso dei giovani, un’attenzione a tutto il comparto che è anche un cambio di mentalità e di approccio, mettendo la cultura, l’arte e lo spettacolo al centro della progettualità per rilanciare economicamente l’Italia.