Cavalcando una norma europea, i precari italiani (docenti ed ATA) hanno, ormai da qualche anno, preteso il riconoscimento del loro servizio chiedendo la conversione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato. Esiste infatti una direttiva europea, la n°70 del 1999 recepita da una legge italiana (il d.lgs. 368/01) che stabilisce che dopo 36 mesi di servizio a tempo determinato bisogna stabilizzare i lavoratori, altrimenti si configura un abuso della reiterazione dei contratti a termine.
Ma come spesso accade, l’Italia ha una velocità differente rispetto all’Europa e –benché recepita- la direttiva europea ha scatenato una serie di interpretazioni differenti se non convergenti.
Negli ultimi tre anni abbiamo infatti assistito a rarissimi casi di immissione diretta in ruolo: una sentenza del Tribunale di Siena ha imposto la trasformazione di un contratto a tempo determinato di un insegnante precaria, che era in servizio da più anni sullo stesso posto riconoscendole un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Di fatto la docente occupava “stabilmente” da precaria lo stesso posto da tre anni!
Di seguito una serie di sentenze che hanno definito dei risarcimenti al personale precario, ma anche tanti rinvii di tribunali che hanno aspettato chiarezza da altri tribunali o gradi di giudizio.
Fino alla storia recente: la Corte Costituzionale con ordinanza n. 207 del 2013 ha riconosciuto la competenza della Corte di giustizia dell’UE alla quale si demanda la decisione relativamente alla stabilizzazione dei precari della scuola.
Nella fattispecie la Corte europea, dalla quale aveva allontanato una sentenza della corte di cassazione dell’estate scorsa, dovrà chiarire se la reiterazione dei contratti a tempo determinato oltre i 36 mesi su posti liberi, anche se motivate con esigenze di riorganizzazione del sistema scolastico, siano compatibili con la Direttiva Europea, che invece la vieta. E dunque sia necessaria la stabilizzazione attraverso contratto a tempo indeterminato.
Al di là di quale sarà l’esito è necessario trovare una soluzione soddisfacente per questi lavoratori che per anni hanno permesso il regolare svolgimento dei servizi scolastici, rimanendo comunque in un limbo di precarietà