*di Renzo Innocenti
Qualche mese fa nel commentare il decreto lavoro del ministro Poletti veniva giustamente ricordato come la serie infinita di formule contrattuali diffusesi nel corso degli ultimi quindici anni non avesse contribuito né a diminuire il tasso di disoccupazione, specie quello giovanile e delle donne, né ad aumentare la produttività delle imprese italiane.
Era solo un altro provvedimento, in linea di continuità con le politiche neoliberiste di flessibilità, che deteriorava ulteriormente le già precarie condizioni di lavoro. E, come giustamente osservato da alcuni, inutile in quanto già il 67% delle assunzioni in essere avveniva con contratto a tempo determinato. In pratica si stava ribaltando il concetto tra regola ed eccezione.
Con la delega lavoro, recentemente approvata dal Senato, si compie un altro passo nella stessa direzione con l’aggravante di voler colpire duramente lo Statuto dei diritti dei Lavoratori orchestrando una astiosa battaglia ideologica contro il sindacato, rappresentato come una casta corporativa e privilegiata, e indicato quasi come unico responsabile della disoccupazione e delle diseguaglianze tra generazioni.
Ognuno è libero di pensarla come vuole, ci mancherebbe altro, ma un po’ più di rispetto per le posizioni “che non si aggiungono al coro” non guasterebbe, specie da parte di chi ha responsabilità pubbliche e di governo. Non è solo una questione “di stile” (ognuno ha il suo) ma di interpretazione di ruoli delicati e di assunzione di responsabilità. Certo, e questo vale per tutti, battute e frasi rabbiose possono far guadagnare consenso e applausi. Scaldano i tifosi, ma seminano divisioni, scavano fossati e rendono terribilmente arduo il compito di trovare le giuste soluzioni ai tanti problemi della gente che soffre.
Non abbiamo bisogno di anatemi o proclami velleitari ma di saper argomentare le nostre idee. Diffonderle anche tra i più scettici e convincere circa la giustezza delle proposte che avanziamo con pacatezza e determinazione. Partendo dalla riproposizione del tema della mancata crescita nel nostro Paese ed in larga parte dell’Europa nonostante l’iniezione di massicce dosi di precarizzazione nel mercato del lavoro e di rigore nella tenuta dei bilanci pubblici. In altri termini, chiamare al confronto sulle caratteristiche della profonda e lunga crisi del nostro sistema produttivo che ha perso il 25% della propria potenzialità e che non riesce ad essere competitivo.
Con la “delega lavoro” e soprattutto con lo spirito che l’accompagna, a giudicare dalla discussione parlamentare, siamo di fronte alla riproposizione dell’ennesima “riforma” delle regole senza incidere sulle reali cause delle nostre difficoltà. “Il problema della mancata crescita non è licenziare liberamente i lavoratori ma aumentare la produttività del sistema delle imprese, la formazione dei giovani, un sostegno che mantenga l’equità duramente toccata da anni di sacrifici”.
Parole semplici e chiare. Chi è il sovversivo di turno? Nientedimeno che…..Mario Draghi, Governatore della Banca Centrale Europea.
E ancora: “Se l’art.18 fosse un ostacolo agli investimenti in Italia non avremmo comprato l’Avio. Non abbiamo mai pensato che quella norma fosse un impedimento alle nostre attività. I punti critici sono altri, i tempi lunghi della giustizia civile, la burocrazia, il fisco”. Parola più, parola meno pronunciate da Sandro De Poli, amministratore delegato della potente multinazionale General Electric Italia. E’ mai possibile che al Presidente del Consiglio, al Ministro Poletti ed ai “soliti noti” non fischino le orecchie?
Ogni altra misura in direzione del superamento della crisi risulta inefficace (vedi il flop degli 80 euro e attenzione alla ripetizione sul TFR) se non aumenta la produttività e se non c’è una seria politica industriale. E questo lo si può fare se ci sono investimenti, formazione tecnica avanzata ma anche regimi contrattuali appropriati che valorizzino la contrattazione specie quella decentrata. Ecco perché c’è bisogno di un sindacato forte e rappresentativo che sappia negoziare su tutto. Qui sta l’altra valutazione sbagliata del Presidente Renzi, credere di poter uscire da questa grave situazione da solo perché tutto quello che lo circonda e non si adegua è corporazione che resiste al necessario cambiamento.
Se viene abbandonata “l’idea del lavoro povero” e della “via bassa della competizione” e si torna ad un serio tavolo di confronto sono convinto che possa prevalere la ragionevolezza e la responsabilità nella ricerca delle migliori soluzioni per le persone più colpite dalla crisi.