In questi giorni caratterizzati da mirabolanti proposte per risolvere i tanti mali che ci circondano faccio difficoltà a rintracciare qualche proposta seria e ragionata, non propagandistica, su un tema decisivo per le sorti del nostro Paese: quello dei giovani.
Al di là di qualche generica affermazione o liturgia populista non emerge con sufficiente forza il tema della condizione in cui vengono a trovarsi le giovani generazioni e, soprattutto, del loro futuro. Sembrano come scomparsi dalle agende della politica, almeno in questa prima fase della campagna elettorale.
Rimangono figure invisibili nel dibattito pubblico e largamente inascoltati, salvo le rituali prese di posizione quando escono le statistiche sulla disoccupazione o quando si rendono protagonisti di efferati fatti di cronaca costellati da violenza e trasgressione. Pare quasi di dare per scontato il fatto che d’ora in avanti " i figli staranno peggio dei loro padri". Arrendersi di fronte a questa rappresentazione della realtà - che sottintende un ragionamento, estremamente pericoloso, relativo al presunto "egoismo" dei padri, - sarebbe il peggiore degli errori che potremmo commettere.
Occorre contrastare questa linea di tendenza che sfocia inevitabilmente in conflitti tra generazioni minando alla radice la coesione sociale. La causa prima di questo fenomeno in espansione di marginalità e di esclusione dei giovani risiede, in prima battuta, nel fallimento del progetto formativo.
Un interessante documento conclusivo della "Cabina di regia per la lotta alla dispersione scolastica e alla povertà educativa" istituita presso il Ministero dell’Istruzione definisce il fallimento formativo "un’anomalia grave del sistema-Italia" e freno dello sviluppo di un Paese con le nostre ambizioni. Altrettanto importante è il crescere delle situazioni di contesto come la povertà e la fragilità famigliare anche se di per sé non c’è una correlazione automatica.
Ma tutto ciò cosa ci dice? Che abbiamo investito poco sui giovani e abbiamo creduto ancora meno su di loro come soggetti ai quali assegnare valore, un patrimonio prezioso per il bene e lo sviluppo dell’intero Paese. Dobbiamo reagire con forza a questa situazione iniziando a migliorare l’offerta formativa-educativa, integrandola con una rete di servizi che coinvolga il territorio e che veda protagonisti i genitori.
L’altro versante sul quale concentrare l’impegno per aiutare i giovani a credere in un futuro nel quale dimostrare la propria capacità ed il proprio valore è quello del lavoro.
Anche se attraversiamo una congiuntura positiva la situazione del nostro sistema produttivo è ancora molto difficile. Non siamo in presenza di una robusta crescita che possa essere in grado di riassorbire le gravi perdite subite sul fronte occupazionale durante la lunga crisi recessiva. Gli stessi indicatori della produzione industriale sono un po’ ballerini, instabili.
Gli andamenti sono più effetto del trascinamento internazionale che conseguenza di modifiche innovative, strutturali, del modello di specializzazione nostrano. E questo rende tutto più difficile in quanto non si recupera sul piano del differenziale competitivo delle nostre produzioni. Purtroppo siamo alle "solite....dolenti note". C’è un po’ di ripresa sui mercati internazionali, si favorisce il taglio di un pò di costi, si torna a ritoccare al ribasso quello che è rimasto sul piano dei diritti ed il "gioco" sembra fatto. Pena ritornare nell’abisso più profondo al primo tentennamento dei mercati.
Anche in questi giorni ritornano le roboanti dichiarazione sulle ottimistiche valutazioni relative ai posti di lavoro creati. Ma ci rendiamo conto di cosa ci gira attorno? A parte (si fa per dire) che la vera crescita è rappresentata dallo smisurato aumento del lavoro nero (stimati oltre tre milioni di lavoratori) ma il lavoro che è aumentato è "povero e debole". Povero perché la retribuzione oraria media è passata da 16 euro a 8 euro in pochi anni; debole perché i rapporti di lavoro hanno sempre una durata più ristretta e diminuiscono le ore lavorate.
Ha ragione Susanna Camusso quando afferma che in una tale situazione quelli che pagano più di tutti sono i giovani. Sono loro le vittime "dell’ideologia liberista" che li condanna ad un futuro senza scelta, fatto solo di insicurezza e povertà.
Ho il timore che se non interveniamo subito con massicci interventi per arrestare questa tendenza rischiamo sul serio una rottura progressiva del patto generazionale che sta alla base non solo della nostra convivenza civile ma anche del nostro sistema di welfare e di sicurezza sociale. Non servono misure meramente assistenziali o falsamente garantiste sganciate da impegni e responsabilità.
La soluzione è il lavoro. Quello vero, non i lavoretti "mordi e fuggi". Quel "buon lavoro" di qualità, con salari veri.
Renzo Innocenti
( ex Presidente Commissione Lavoro della Camera dei deputati)