Dopo oltre due mesi di “giochino del cerino” appaiono all’orizzonte timidi segnali di un possibile accordo di governo tra Lega e 5 Stelle: un governo a trazione populista, dal profilo decisamente di destra che suscita grandi preoccupazioni e interrogativi per il futuro.
Tuttavia, già questa potrebbe essere una novità dopo che in tutto questo dibattito post 4 marzo tutti i partiti hanno manifestato una maggiore propensione all’opposizione quasi “a prescindere” se non addirittura un gradimento per una nuova campagna elettorale. In modo particolare le forze politiche premiate dal voto hanno dimostrato tutta la loro incapacità e irresponsabilità. Prigionieri della loro demagogia e della connotazione protestataria della loro base sociale di riferimento stanno mettendo sotto stress il Paese. E’ stato necessario un inedito e fermo richiamo del Presidente della Repubblica con annessa “proposta/minaccia” della nascita di un “governo di servizio” per smuovere qualcosa.
Giustamente il Presidente Mattarella ha affermato che non possiamo permetterci il lusso di non avere un Governo nella pienezza dei poteri. Qualcuno, a torto, può anche pensare che il Paese va avanti lo stesso e che, tutto sommato, questo stallo politico si è verificato anche in altri Paesi europei senza arrecare gravi danni. Niente di più sbagliato. Noi non siamo un Paese con i fondamentali economici della Germania e, con tutto il rispetto, non possiamo equipararci al piccolo Belgio. L’Italia, nonostante tutto, è pur sempre uno dei maggiori produttori europei e mondiali, con un suo ruolo internazionale e con un grande debito pubblico molto sensibile di fronte alla speculazione finanziaria.
Oltre a questo c’è soprattutto un punto che non possiamo mai dimenticare e cioè che i grandi problemi che ci affliggono, dalla disoccupazione alla crescita della povertà, dalla mancanza della sicurezza nel lavoro alla crescente difficoltà ad avvalersi di cure mediche appropriate e tempestive, tutto questo non può aspettare, c’è l’assoluta necessità di prendere decisioni, attuare politiche, intervenire nelle emergenze e cominciare a costruire risposte nuove a problemi che ci assillano quotidianamente da quando è iniziata questa lunga crisi.
Il consenso che si ottiene in una competizione elettorale a cosa serve? Ad acquisire qualche prestigiosa posizione di potere e una maggiore visibilità mediatica oppure a mettersi in gioco uscendo dal mondo virtuale e abbandonando la propaganda per cimentarsi con la dura realtà di tutti i giorni ?
Una realtà fatta dai tanti problemi derivanti da una crescita modesta, già in fase di rallentamento, fanalino di coda in Europa. Faccio fatica ad individuare tra veti ripetuti, ripicche insensate, rivendicazioni di investiture ed assurdi proclami, qualcosa che assomigli anche lontanamente ad una proposta per una seria politica industriale che affronti con efficacia la cause strutturali del nostro deficit competitivo.
Credo che la discussione in corso per risolvere la crisi politica si svolga su di un piano totalmente diverso da quello che la drammaticità della realtà imporrebbe. Anche gli ultimi dati dell’Istat rilevano il persistere di una situazione occupazionale disastrosa. Quasi tre milioni di persone in cerca di lavoro, tassi di occupazione femminile e giovanile da ultimi in classifica, aumento del lavoro povero ed instabile. Quella piccola lievitazione degli occupati è dovuta esclusivamente a lavoratori “indipendenti” e ai contratti a termine. In poche parole: permane una grande area caratterizzata da insicurezza, povertà, emarginazione e la qualità della ripresa non è all’altezza della situazione. Cresce, seppure di poco, il PIL ma la forbice sociale si allarga paurosamente.
Sono profondamente preoccupato delle conseguenze che il vuoto politico può avere e noto con stupore che non c’è molta indignazione nei confronti di questo dibattito un po’ surreale e molto autoreferenziale dei protagonisti politici. Quasi come se stesse prevalendo un senso di rassegnazione e di impotenza di fronte al precipitare degli eventi. Eppure le prospettive sono nere. All’orizzonte cominciano a profilarsi segni evidenti di rallentamento della dinamica della crescita e la guerra commerciale iniziata da Trump potrebbe avere sviluppi inaspettati ed incidere negativamente sulle prospettive economiche.
Non sono previsioni dei soliti “gufi” se anche un uomo avveduto e lungimirante come Draghi ha recentemente affermato di aver sospeso ogni decisione circa il termine dell’intervento della Banca Centrale Europea sui titoli di Stato. Fattore quest’ultimo importantissimo ai fini di favorire una ripresa e mettere al riparo dalla speculazione il debito pubblico dei Paesi membri dell’Unione Europea.
Questi sono i giorni nei quali il Governo del Paese dovrebbe confrontarsi in modo approfondito con le parti sociali sulle misure da prendere per affrontare l’emergenza che incombe ed adottare le iniziative per “aumentare il potenziale di crescita”. Invece, ci ritroviamo un Documento di Economia e Finanza presentato alle Camere (che non hanno ancora costituito le Commissioni di lavoro) dal Governo dimissionario con una impostazione, inevitabilmente burocratica e notarile, dove manca del tutto il tema dello sviluppo.
E’ possibile in qualche modo “aiutare” il Presidente Mattarella in questo difficilissimo compito di richiamare tutti al senso di responsabilità ? E’ proprio irrealistico formulare una proposta concreta per sollecitare i partiti ad uscire allo scoperto e chiedere come intendano governare questo Paese? I partiti devono rendere conto a tutta l’opinione pubblica del loro operato e delle loro intenzioni abbandonando tatticismi e chiusure pregiudiziali. C’è in gioco qualcosa di più del destino di un leader o di una formazione politica. In gioco è il destino del Paese.