Dovremmo fare come Maciste, il maniscalco di “Cronache di poveri amanti”: quel romanzo bellissimo e struggente che ci racconta come viveva il popolo in quell’Italia appena diventata fascista.
Tutti noi che veniamo da famiglie lavoratrici e dalle periferie, convinti che lo studio sarebbe stata non tanto l’opportunità di riscatto sociale (così remota, nel nostro paese…), ma per lo meno lo strumento unico per non farci sfruttare troppo… ecco, tutti noi abbiamo sempre la paura di essere considerati ignoranti. Per questo stiamo sempre lì a citare i pochi libri letti: gridando euforici e stupiti, ogni volta che uno di quei libri racconta proprio la realtà che viviamo. E a ripetere, ingenui ed eccitati, che quel libro lo dovrebbero leggere tutti, quel libro dovrebbe essere insegnato a scuola. Mi perdonerete, dunque, se oggi mi aggrappo al capolavoro di Vasco Pratolini.
Il maniscalco Maciste, nel suo vicolo, lo rispettano tutti. Anche chi è diventato fascista per opportunismo e meschineria, anche chi si fa gli affari suoi e va avanti indifferente. Anche chi ha aderito al fascismo perché è giovane ed entusiasta e pensa che il fascismo parli al popolo e porti finalmente il popolo al potere.
Tutti rispettano Maciste perché Maciste è bravo e onesto nel suo lavoro, Maciste aiuta chiunque gli chieda aiuto, Maciste non crea pettegolezzi né asseconda quelli sugli altri, Maciste non giudica mai nessuno dall’alto in basso. Maciste vive con semplice coerenza il rapporto tra ciò che pensa, ciò che dice e come vive: e per questo il giovane Mario, ardente fascista che sogna la rivoluzione popolare, quando conosce Maciste e comincia a parlarci, va in crisi.
A Torre Maura non c’erano le masse popolari, siamo seri. Non c’era l’intero popolo di una periferia abbandonata che scende in massa a calpestare il pane destinato ai rom, agli zingari. C’erano i gruppi organizzati dei fascisti, Forza Nuova e Casapound, che da anni cercano di infilarsi in ogni contraddizione sociale per strumentalizzarla. Il popolo della periferia non c’era: ma se continuiamo ad essere onesti, dobbiamo anche ammettere che quel popolo –ahinoi- nel suo stato d’animo più intimo è probabilmente più vicino a chi calpestava il pane, piuttosto che a Simone, quello splendido ragazzino che è stato la voce del nostro riscatto, perché forse noi abbiamo parlato a voce troppo bassa.
Non serve guardare i dati elettorali, che pure sono espliciti: basterebbe farci un giro e prenderci un caffè ogni tanto, in quelle periferie e in centinaia di province, per capire che quelle persone si sentono sole, abbandonate, esasperate. Che hanno ceduto alla rabbia e alla frustrazione e che non credono più a chi gli parla –da lontano e dall’alto, anche con malcelato snobismo- di “solidarietà”, di “giustizia”, di “uguaglianza”. Attecchisce chi propone un concetto bislacco di sovranismo, quell’orrido coacervo di nazionalismo e di variabile identità etnico/religiosa, perché proposto come “volontà del popolo”, “riscatto del popolo”, “voce del popolo”.
Maciste non dà mai alcuna lezione al giovane fascista Mario. Non sale in cattedra, non lo giudica, ma ci parla. Ci parla continuamente e diventa, coerente nella propria scelta di vita, un buon esempio. Così Mario comincia ad accorgersi da solo delle proprie contraddizioni. In effetti, i fascisti dicono di voler difendere il popolo: ma perché tutti i padroni sono diventati subito fascisti? I fascisti rappresentano noi lavoratori: ma perché vanno a picchiare gli operai che scioperano per un pezzo di pane? I fascisti porteranno noi poveri al potere: ma perché col fascismo chi era già ricco è diventato ancora più ricco e chi era povero è diventato ancora più povero?
Perché, potremmo aggiungere noi, i fascisti (e i sovranisti) sono stati i primi a scattare, ad imprecare (in questo caso, in buona compagnia) a perdere la testa quando Maurizio Landini ha posto sul tavolo della politica –finalmente-il concetto di “patrimoniale”?
La “patrimoniale” è in fondo la cosa più semplice e giusta per redistribuire ricchezza –dopo anni di crisi economica fatta pagare solo ai lavoratori dipendenti e ai pensionati e alle aree del nostro paese già in difficoltà. La “patrimoniale” recupera le risorse economiche da chi ne ha accumulate troppe e deve servire a creare nuovi posti di lavoro e a riqualificare le periferie abbandonate: deve creare, dunque, nuove possibilità di riscatto sociale, nuove opportunità per non essere cittadini ricattati dal bisogno.
I fascisti e i sovranisti, a Torre Maura come altrove, non raccontano mai -nelle periferie e nelle provincie- che, in questi anni, chi era ricco si è arricchito ancora di più. Non raccontano mai che chi aveva potere, ora ne ha ancora di più. I fascisti e i sovranisti indicano chi è ancora più povero e più debole come causa di tutti i mali: lasciamo affogare gli immigrati e calpestiamo il pane per gli zingari! Ma, per carità, non toccate i soldi di chi è ricco, non toccate il potere di chi è potente.
E così Mario capisce. Parlando e lavorando fianco a fianco con Maciste, tutti i giorni, capisce. Capisce che chi usa violenza, lo fa sempre per reprimere e mai per liberare. Capisce che chi lo ha spinto a prendersela con chi sta ancora peggio di lui, lo fa per nascondere e accrescere i propri privilegi. Capisce che, dietro la baldanza e gli atteggiamenti popolani dei fascisti, ci sono i soldi di chi il popolo lo vuole opprimere, schiacciare, sfruttare. Ci sono i loro soldi e i loro interessi, allora come oggi.
I fascisti (e questa riverniciata versione “sovranista”) indicano lo zingaro per nascondere chi si è arricchito, ti spingono ad aggredire una minoranza per aggredire–quando gli serve- anche te, urlano che la crisi è colpa degli immigrati per difendere chi, con la crisi, ha riempito i propri conti in banca. Sono quelli, all’epoca di Maciste e di Mario e ancora oggi e in ogni momento, che mettono una bomba alla stazione di Bologna: e la mettono, consapevolmente, nella sala d’attesa di seconda classe. Piena di operai e studenti che iniziavano finalmente le proprie sudate ferie d’agosto. Perché i fascisti sono contro il popolo, odiano il popolo: anche quando il popolo, qualche volta, un po’ se lo dimentica.
E dunque scusate se, come tutti quelli che hanno paura di sembrare ignoranti, l’ho tirata tanto lunga con questo libro. Ma penso davvero che dovremmo fare come Maciste: starci, nei luoghi più faticosi, e non lasciare da soli i ragazzini a difendere le minoranze attaccate. Parlare e ascoltare, raccontare fino alla noia cosa rappresenta una “patrimoniale” e realizzare quel “sindacato di strada” di cui c’è ferocemente bisogno. Mettere da parte la tentazione di fare lezioni, provando invece ad essere un buon esempio di coerenza e credibilità.
E’ una faticaccia, eh? E spesso non darà facili soddisfazioni immediate.
Ma non è forse l’unico modo per essere davvero utili a chi ne ha bisogno e realizzare, sul serio, ciò in cui abbiamo deciso di credere per tutta la vita?
Andrea Malpassi – Coordinamento area migrazioni e mobilità internazionali Inca CGIL