È evidente: un sistema puramente contributivo, se non è corretto e se non ha al suo interno elementi di solidarietà, è un sistema che crea grandi diseguaglianze. Solidarietà significa anche tener conto delle differenze delle cose che si fanno. Chi svolge un lavoro gravoso ha un’aspettativa di vita diversa rispetto ad altri lavoratori.
E naturalmente significa anche distinguere le diverse situazioni in cui vivono e lavorano uomini e donne, e considerare i giovani. Se ci riferiamo alle donne, occorre tener conto del lavoro di cura che significa poi anche pensare a un modello sociale che abbia caratteristiche anche diverse da quello attuale.
Tutti i nostri ragionamenti debbono presupporre il fatto che il lavoro torni ad avere dei diritti. Poiché tra gli elementi che creano diseguaglianze uno dei più importanti è il fatto che i lavori non sono tutti uguali, non solo per l'aspettativa di vita ma anche sul piano dei contributi e delle opportunità. Dobbiamo fare in modo che qualsiasi rapporto di lavoro abbia dei contributi e sia utile per poter poi andare in pensione proprio perché viene riconosciuto e dunque valorizzato.
L'altro elemento importante è quello della flessibilità. Sembra un paradosso che da un lato mi si dice che col contributivo vado in pensione in base ai contributi, poi, però, fino a 70 anni non posso lasciare il lavoro. Noi vogliamo che si apra una trattativa vera, tavoli affollati in cui ci chiedono cosa ne pensiamo non servono molto, lo sanno già cosa pensiamo. Vogliamo discutere, ovviamente si può non essere d’accordo con le nostre proposte. Ascolteremo e in base a questo decideremo se andare avanti con la nostra mobilitazione.
Siamo ancora in attesa (20/07) della convocazione per il confronto sulla legge di stabilità alla presidenza del Consiglio. Noi porteremo le nostre idee, abbiamo risposte e proposte su tutto, anche se, purtroppo esiste un vizio di fondo, si discute, anche a lungo, ma poi siccome quello che conta è un contratto di governo stipulato tra privati, a quel punto vale quello: non c’è Parlamento o parti sociali che tengano.
Nell’incontro con Salvini al ministro degli Interni ho detto che chiudere i porti non va bene, anche perché, oltre ovviamente alle imprescindibili ragioni umanitarie, ce ne sono altre di buon senso. Già adesso senza i 5 milioni di migranti che pagano le tasse e i contributi, la sostenibilità del nostro sistema fiscale e previdenziale non starebbe in piedi. Senza dimenticare una grande iniquità dovuta al fatto che siccome non c’è reciprocità tra i diversi paesi “un lavoratore straniero che paga qui i suoi contributi e poi magari se ne va, rischia di perdere tutto ciò che ha versato.
Nel discorso sulla previdenza e sulla necessità di garantire pensioni dignitose ai giovani tutto si tiene, a cominciare dalla mancanza di risorse in entrata dovute all’evasione fiscale e alla qualità del lavoro: far lavorare le persone e fare lavorare bene produce ricchezza e allarga i diritti. (fonte rassegna.it)