La storia dell’uomo ci tramanda che ogni qualvolta una novità tecnica si affaccia con le credenziali di un’invenzione che renderà il futuro migliore, si assiste a una accelerazione dello sviluppo convogliato sui pregi della novità, incurante dei difetti.
Così è stato per l’energia del carbone, per l’avvento del petrolio e dei motori a combustione interna, per l’amianto, per l’energia nucleare, per l’abuso della plastica… Oggi ne contiamo le conseguenze inquinanti, ma già si sta diffondendo la frenetica esaltazione per la soluzione finale, per il motore elettrico, silenzioso e non più inquinante. Sarà così?
Le batterie al litio sono sempre più richieste per dispositivi elettronici e dal nascente mercato delle auto elettriche. Il litio, metallo alcalino lievemente tossico, è molto diffuso in natura; in modo concentrato ed estraibile si trova soprattutto in Sudamerica, ma un altro materiale è necessario agli accumulatori per restituire l'ipotetica energia pulita.
Il cobalto (Co) elemento di numero atomico 27, è un metallo duro simile all’argento, essenziale per la fabbricazione delle batterie al litio. In polvere è molto infiammabile; è lievemente tossico e altrettanto radioattivo, può essere arricchito e usato anche per armamenti nucleari. Non è un materiale che si trova allo stato puro, ma è un sottoprodotto del rame e del nichel. Nell’arco degli ultimi cinque anni, la sua domanda è triplicata e si prevede che entro questo 2020 subirà un ulteriore raddoppio, proprio a causa della richiesta dall’aumento di auto elettriche.
Oltre il 70% del cobalto mondiale, così come il coltan (mix di ossidi ferrosi usati per acciai speciali & mini condensatori elettronici) si trovano nella Repubblica democratica del Congo e nello Zambia, e la maggioranza delle miniere sono sfruttate da multinazionali straniere. Qui, gran parte del lavoro di estrazione, che avviene in totale distruzione dell’ambiente, sempre più oggetto di corruzione politica, viene eseguita quasi del tutto manualmente attraverso un indiscriminato sfruttamento del lavoro minorile.
Da una indagine di Amnesty International che risale già a ben quattro anni addietro, nelle strette gallerie e nei cunicoli vengono introdotti bambini di 6-8 anni. Spesso le famiglie sono minacciate e picchiate da un caporalato bestiale, affinché forniscano l’agile manodopera.
Nell’attuale contesto, nonostante tentativi di una revisione dello sfruttamento, diverse multinazionali hanno potuto beneficiare dei ricavi prodotti dalla ricchezza del sottosuolo congolese. Industrie come Glencore, CDM, Randgold, China Molybdenum e altre hanno indirizzato le loro attività nella Repubblica del Congo. Solo, gli svizzeri di Glencore ne ricavano ben il 35% dell’intera produzione mondiale. Nel frattempo, molte altre industrie hanno aperto stabilimenti in prossimità dei siti estrattivi (da Volkswagen ad Apple, da Microsoft a Huawei) assicurandosi così una fetta cospicua della torta mineraria congolese.
Secondo dossier redatti da International Right Advocates (associazione di legali per i diritti umani con sede a Washington), in Congo moltissimi bambini lavorano illegalmente nelle miniere della Glencore, che vende il cobalto a Umicore, un trader basato a Bruxelles, che a sua volta vende il minerale lavorato a Google, Tesla, Microsoft e Dell. Altre miniere sono di proprietà di Zhejiang Huayou Cobalt, azienda cinese che anch’essa fornisce le multinazionali affamate di batterie, da Microsoft ad Apple.
In queste miniere, in grande espansione per soddisfare la richiesta dei nostri sofisticati giocattoli occidentali e delle nuove automobili ibride e “pulite”, è cosa normale che i minori, sfruttati senza alcuna tutela, rimangano intossicati o peggio, paralizzati o uccisi in seguito a drammatici incidenti causati dalle pesanti condizioni di lavoro a cui sono assoggettati i minori.
Quattordici famiglie congolesi appoggiate da IRAdvocates hanno fatto causa a Apple, Google, Dell, Microsoft e Tesla: chiedono i danni per lavoro forzato e compensazioni per arricchimento illecito, vigilanza negligente e inflizione intenzionale di sofferenza emotiva e fisica. Secondo IRAdvoctes le multinazionali del digitale avevano piena conoscenza del tipo di forza lavoro e delle disumane condizioni a cui era sottoposta per estrarre il cobalto necessario ai propri aggeggi tecnologici.
Non essendo intervenuti per umanizzare il lavoro nelle miniere di cobalto, rende questi colossi complici dello sfruttamento minorile, e in un certo qual modo, nel momento in cui non si ignorano più questi fatti, in parte lo siamo anche noi, viziati fruitori di giocose illusioni, di tecnologia, di presunto progresso e occidentale superiorità. Ogni disinteresse nei confronti di questa realtà, è un’ipotetica complicità alla morte o al ferimento dei piccoli operai che lavorano più di 10 ore per 2 dollari al giorno.
Chi ne scrive, con l’andar della indagine, ne è rimasto molto colpito e ha imparato qualcosa che ritiene importante condividere con il lettore attento a certe distorsioni di questo nostro mondo bifronte, dove spesso, ad ogni operazione tecno economica, corrisponde una ignobile prevaricazione uguale e contraria. Se riteniamo che la batteria del nostro abusato iPhone sia durata troppo poco e sia già ora di cambiarla, pensiamo alla sua storia e alla nostra bella vita.