Lettera aperta
“Essere anziani è il futuro di tutti”
Perché non c’è ancora un’adeguata sensibilità?
"Si chiudono le Poste, gli sportelli bancari, le farmacie, i cinema, le librerie, i piccoli negozi; diminuiscono i medici di famiglia, soprattutto nelle zone interne. Per non parlare dei trasporti che non rispondono ai bisogni di una popolazione sempre più anziana (che avrebbe bisogno, ma anche voglia di spostarsi)."
Non so più in quale “fase” siamo, ho perso il conto. Il tempo è passato, l’emergenza è (forse) finita, ma lo dico con amarezza non possiamo guardare al futuro con più tranquillità. Non siamo diventati più “buoni”. Non mi pare (a parte i casi di vero e proprio eroismo di alcune categorie di lavoratori) che il “nuovo mondo” (più giusto e solidale) sia alle porte.
La situazione che abbiamo davanti non può tranquillizzarci. Mi si conceda, voglio concentrarmi su un unico aspetto: quello degli anziani nel tempo del Coronavirus, ma soprattutto nel tempo del dopo Coronavirus (se mai ci sarà). Lo faccio non perché sottovaluto il resto della popolazione, ma per il ruolo che sono chiamato a svolgere. Insomma, ho particolarmente a cuore i pensionati (e di conseguenza gli anziani). Come ha scritto Concita De Gregorio, “essere anziani è il nostro futuro” e sarebbe bene che chi ancora non lo è si ricordasse di questa lapalissiana verità. E lo dovrebbe fare soprattutto chi governa il Paese, le Regioni i Comuni fino ai vari istituti, aziende pubbliche e private.
Un Paese, il nostro, che vede, grazie all’innalzamento dell’età e per colpa della denatalità, un 30% della popolazione sopra i 65 anni. E questa realtà, che tutti vedono, sta cambiando il mondo, la società, i rapporti fra generazioni, i bisogni. E se cambia la società, se cambiano i bisogni, anche le Istituzioni, le aziende, le infrastrutture, l’organizzazione sociale, economica dovrebbero adeguarsi a questi cambiamenti. Anzi, li avrebbero dovuti anticipare, con un'analisi previsionale che dovrebbe essere prerogativa di chi guida la società. Invece poco è stato fatto e il rischio è che si sia travolti da tutto ciò, con la conseguente esplosione di nuove tensioni sociali. Si chiudono le Poste, gli sportelli bancari, le farmacie, i cinema, le librerie, i piccoli negozi; diminuiscono i medici di famiglia, soprattutto nelle zone interne. Per non parlare dei trasporti che non rispondono ai bisogni di una popolazione sempre più anziana (che avrebbe bisogno, ma anche voglia di spostarsi). Nelle zone interne poi siamo alla desertificazione. Sempre più anziani vivono da soli, sempre più incarcerati nelle loro case. Costretti ad una condanna per un reato mai commesso. Ma è prigioniero nella sua casa sia chi vive sulla Montagna pistoiese sia chi vive al terzo piano di un condominio (senza ascensore) nel centro di Pistoia.
Leggo molti interventi anche autorevoli che sostengono che, grazie alla tecnologia, molte di queste disfunzioni saranno superate. Peccato che in tantissime zone del nostro territorio (anche nella ricca e democratica Toscana) non arrivi il segnale, niente internet, niente social, niente telemedicina. Il deserto dei Tartari. E non sempre "il remoto" può sostituire "lo sportello", il contatto "fisico" fra l'utente e l'operatore. Guardare negli occhi una persona, ascoltare il tono della sua voce, percepire il suo stato d'animo non può essere sostituito da uno schermo o da un "PIN".
Se a tutto questo si aggiunge che la stato di salute (che non è solo assenza di malattia) risente della situazione economica che stiamo vivendo, possiamo ben capire quale sia la situazione anche e soprattutto degli anziani. Vorrei ricordare che su quasi 18 milioni di pensionati, oltre 12,6 milioni vive (e spesso aiuta a vivere anche la famiglia dei figli) con una pensione inferiore a mille euro al mese. Il 61,3% ha un importo inferiore a 750 euro al mese. Una percentuale che sale per le donne al 74,5% (e anche su questo aspetto riflettiamo e agiamo sempre poco). Vero è che la stragrande maggioranza degli anziani/pensionati è proprietaria della propria abitazione (anche se stanno aumentando le vendite “nuda proprietà”) e qualcuno ha (aveva) anche risparmi. Vorrei ricordare, però, che queste “ricchezze” sono state realizzate attraverso il lavoro e molte volte con pesanti rinunce, accontentandosi di poco, pur di pensare ad futuro migliore, cercando di dare una sicurezza a se stessi e alle proprie famiglie. Un vita di rinunce per assicurarsi tranquillità, soprattutto in vista dell’età che avanza. Insomma hanno lottato, costruito, difeso, voluto quello che dovrebbe essere un diritto per ogni persona. Non hanno rubato niente allora e non stanno rubando niente oggi.
Non c’è scontro generazionale. Non c’è contrapposizione fra vecchi e giovani. Anzi, in questa fase di crisi economica (che ci attanaglia dal 2008) si è toccato con mano la generosità dei “nonni”, dei pensionati, che hanno occupato spazi che lo Stato lasciava liberi. Sono stati il bancomat che lo Stato ha messo di fatto a disposizione dei figli e dei nipoti, Sono stati il Welfare reale che ha fatto da diga contro i licenziamenti, il precariato, soprattutto delle giovani generazioni.
Ecco, non possiamo ricordarci di loro solo quando c’è da battere cassa, quando c’è un’emergenza, un pericolo, quando gli Unni sono alle porte. Bisognerebbe, ora più che mai, modellare, organizzare la nostra società tenendo conto di quel 30% sopra i 65 anni. Lo dico per loro, ma lo dico anche per le giovani generazioni. Se non lo fate per gli attuali, fatelo per voi che prima o poi vi troverete, prima di accorgervene, in quella età. Spero in salute, ma con tutti quei servizi che oggi invece mancano a molti di noi. Infine lo dico a chi ci governa, ad ogni livello, bisogna superare questa fase emergenziale ovviamente, ma dobbiamo superarla costruendo le basi di un nuovo mondo più giusto e solidale dove ogni persona, giovane o anziana, sia vissuta come una ricchezza con gli stessi diritti, tutele e doveri.
Andrea Brachi
segretario generale SPI CGIL Pistoia