Le persone anziane, i pensionati generalmente non hanno l’abitudine ad alzare la voce. Sarà perché con lo scorrere degli anni si impara a essere più riflessivi e meno precipitosi. Questo atteggiamento ci permette anche di ascoltare di più, forse perché abbiamo più tempo, oppure perché abbiamo capito che è importante e giusto comprendere le ragioni dell’altro, anche se non le condividiamo.
Troppo spesso, però, questa saggezza è considerata mancanza di reattività, accondiscendenza, quasi segno di debolezza.
Forse facendo leva su questa percezione, chi ci governa - da sempre - crede che si possano mettere in piedi provvedimenti talvolta non rispettosi dei nostri diritti, addirittura togliendoci ciò che ci spetta e nascondendolo maldestramente. Spesso chi governa ci percepisce come persone remissive: oltre 17 milioni di persone remissive. Paradossale!
Certo non ci facciamo più prendere dalla smania di protestare. Sappiamo riconoscere lo stato delle cose, abbiamo ben presente il contesto in cui viviamo e sappiamo sopportare. E se ci dicono che è venuto il tempo del cambiamento, non abbiamo niente in contrario a condividere modifiche, a patto di capire cosa si vuol cambiare, ma soprattutto che nuova situazione si propone. Il cambiamento di per sé non è un valore. Abbiamo l’esperienza dalla nostra parte. Possiamo sembrare ingenui, ma non lo siamo. Si legga la posatezza come saggezza ed equilibrio. Ne potremmo dispensare. E, senza presunzione, ce ne sarebbe bisogno, ora più che mai.
Siamo attivi e presenti nel mondo di oggi, lo viviamo in tutte le sue complessità e opportunità: ci siamo adattati alle nuove tecnologie, ai social, usiamo whatsapp, facebook, e-mail e internet. Abbiamo chiesto a gran voce e per tanti anni (e ci prendevano quasi per alieni) che si realizzasse un progetto di telemedicina per la Montagna pistoiese. E adesso sarà realtà, finalmente. Siamo stati progettisti pionieri in questo. Sappiamo guardare al futuro e alle nuove tecnologie in maniera molto proficua.
Ma nello stesso tempo continuiamo a raccontare le favole ai nostri nipoti, a essere baluardi della Memoria, depositari di una storia che non deve essere dimenticata né sottovalutata. Senza radici una pianta muore, non lo dimentichiamo mai.
Nonostante questo, veniamo spesso considerati ai margini della società (quella produttiva). Delle volte siamo percepiti anche come un peso, un ingombro. E noi spesso evitiamo di entrare in contrapposizione, di alzare il tono della voce, di urlare “anche noi ci siamo, siamo qui, esistiamo e siamo persone, siamo esseri umani con gli stessi diritti di qualunque altro cittadino”.
Forse noi che abbiamo vissuto nel periodo delle ricostruzione, nell’era del progresso, della rinascita industriale, economica, della (ri)conquista dei diritti e delle tutele ci sentiamo anche dei fortunati, addirittura privilegiati.
Hanno tentato di farci sentire in colpa. Hanno addossato a noi le disfunzioni, gli errori, i ritardi, le ingiustizie, le diseguaglianze esistenti. La (cattiva) politica, il (cattivo) giornalismo, i (cattivi) social sono riusciti a mettere davvero i giovani contro gli anziani, hanno dato il via a una lotta fra generazioni che noi subiamo anche troppo silenziosamente.
Sembra non contare più se abbiamo combattuto decenni per ottenere diritti e tutele, se abbiamo patito e sofferto. E’ vero, abbiamo avuto anni e anni di vita, generalmente, più tranquilla dei nostri padri e dei nostri nonni e delle volte ci vergogniamo anche di questo.
Sicuramente la nostra generazione ha commesso errori, forse non ci siamo resi conto che vivevamo sopra le nostre possibilità, che stavamo distruggendo l’ambiente, che bruciavamo ricchezze, illudendoci delle rassicurazioni dateci dalla classe politica, istituzionale e datoriale. Ma non siamo stati noi la causa dei disastri. E ora siamo stanchi, di subire, di essere additati come i responsabili, i nemici dei giovani. E’ arrivato il momento di battere i pugni sul tavolo, di alzare la voce, di pretendere rispetto e considerazione.
In questi mesi abbiamo assistito sgomenti, impotenti alla scomparsa di intere generazioni di anziani: quasi tutti se ne sono andati in solitudine, lasciando i propri cari nella disperazione di non essere riusciti ad accompagnarli nell’ultimo saluto.
Nessuno era preparato a questa emergenza. Certo, è vero. Ma questo virus ha avuto vita facile anche per gli errori compiuti negli ultimi decenni. Aver smantellato il Servizio sanitario nazionale (meno risorse, meno personale, meno prevenzione…), non avere investito nella Sanità territoriale (Case della Salute, letti di cure intermedie, infermieri e medici di comunità, assistenza domiciliare, telemedicina….) ha permesso al virus di avere vita facile e di mietere vittime soprattutto fra gli anziani, i più fragili, i più soli.
Tutto l’impegno del Servizio sanitario nazionale si è orientato a dare risposte a questa emergenza. Cosa sacrosanta. Ma questa scelta ha aperto un’altra emergenza: chi soffriva di cronicità, chi soffriva di cuore, di diabete, chi era in lista di attesa per interventi anche non urgenti sono rimasti sospesi in attesa che l’emergenza finisse. Assistiamo al rinvio di interventi, di trattamenti e cure. Soprattutto gli anziani, se non moriranno di Covid, rischieranno di morire per non essersi curati, per avere ritardato le terapie o gli interventi.
-Ci avevano narrato che le cure e le terapie extra Covid, nei reparti avrebbero ripreso il loro corso naturale, invece assistiamo ancora alla trasformazione dei reparti in Covid.
-Ci avevano assicurato che dopo la primavera non sarebbe accaduti gli stessi drammi a cui avevamo assistito nella prima fase. Rassicurazioni e impegni disattesi.
-Ci avevano detto che si sarebbero assunti medici, infermieri, anestesisti, operatori socio-sanitari, insomma il personale necessario. Ci avevano detto che le strutture ospedaliere e territoriali sarebbero state pronte a far fronte alla eventuale seconda ondata della pandemia. Ma non è stato così. A mala pena si ricopre il turn over, cioè chi va in pensione, ma non sempre e non ovunque. Dimenticando che le dotazioni organiche erano e sono all’osso e che i dipendenti in servizio sono sufficienti a garantire spesso solo i servizi essenziali.
- Ci si è dimenticati che quando un dipendente andava in pensione il 1° febbraio si assumeva uno al suo posto a tempo determinato, ma dal mese di dicembre, lasciando scoperto il suo posto (il suo carico di lavoro) per 11 mesi.
- Ci si è dimenticati che per troppi anni la spesa del personale è stata ferma a quella dell’anno 2004 meno l’1,4% e che nessuno per lungo tempo ha avuto il coraggio di modificare questa norma che ha prodotto quello che oggi viviamo (colpevole e drammatica carenza di personale). Nessuno dice che non basta ricoprire le attuali dotazioni organiche (con assunzioni a tempo indeterminato), ma bisogna ampliarle, perché occorre davvero più personale. Devono esserci più medici nei dipartimenti prevenzione, più anestesisti ed infermieri per le sale operatorie, più medici e infermieri sul territorio, più USCA.
Senza dimenticare che devono essere realizzate più Case delle Salute (ma davvero funzionanti, non solo “di facciata”), più medici di famiglia che potrebbero diventare dipendenti del Servizio sanitari pubblico: continuare a lasciare che siano liberi professionisti pagati dal servizio sanitario pubblico è cosa di difficile comprensione e soprattutto di difficile gestione. Sono una gamba portante del Sistema sanitario nazionale e non possono essere battitori liberi.
-Ci avevano poi esposto la strategia delle vaccinazioni antinfluenzali, ma i vaccini non ci sono o arrivano con il contagocce; e in questo colpevole ritardo le persone già si stanno ammalano di influenza.
-Ci avevano raccontato che il Covid 19 non sarebbe rientrato nelle Case di riposo (Rsa), perché in quei luoghi sono ospitate le persone più fragili: puntualmente invece il virus è nuovamente penetrato.
Ma non è solo la sanità che interessa a noi anziani/pensionati. In questi giorni il Governo e poi il Parlamento discuteranno della manovra di bilancio. Bene, ci sono alcune cose che i Sindacati pensionati di CGIL, CISL e UIL hanno chiesto.
Sono scelte che il Governo, il Parlamento di un Paese democratico dovrebbero avere in agenda. Nello specifico chiediamo:
1) una legge nazionale sulla non autosufficienza;
2) una riforma delle strutture residenziali socio-sanitarie per anziani;
3) il rilancio vero del Servizio sanitario nazionale;
4) la riduzione della pressione fiscale anche sui pensionati;
5) l’ampliamento della platea dei beneficiari della cosiddetta Quattordicesima.
Insomma, abbiamo assistito i figli, i nipoti, siamo stati il “bancomat” dello Stato e l’ancora di salvezza per le famiglie. Lo abbiamo fatto con il cuore e con la mente, consapevoli anche che molti di noi (non tutti) se lo potevano permettere.
Ma non accettiamo che passi l’idea che siamo solo dei fortunati e, ancora peggio dei privilegiati. Noi abbiamo lavorato una vita, noi paghiamo le tasse fino all’ultimo centesimo e le paghiamo, in parte, più alte dei lavoratori dipendenti. Noi siamo babysitter e badanti. Noi siamo una parte del sistema di Welfare che lo Stato non riesce a garantire. Noi abbiamo sofferto e lottato per conquistare quello che abbiamo. E non vi potete dimenticare che, in questo mare di “privilegiati”, ci sono milioni e milioni di pensionati che sopravvivono con pensioni sotto i mille euro netti al mese e sono milioni quelli con la pensione sociale (500 euro al mese).
Insomma di che si sta parlando? Occorre più rispetto. E la nostra pazienza sta per finire.
Andrea Brachi
segretario generale SPI CGIL Pistoia