A PROPOSITO DI SANITÀ
Di Andrea Brachi
La pandemia ha drammaticamente messo di fronte agli occhi del paese l’importanza del servizio sociasanitario nazionale. Stanno arrivando ingenti risorse dall’Europa (bisogna non rinunciare ai fondi del MEF). E’ il momento di scelte coraggiose e di recuperare i ritardi e correggere gli errori commessi nel corso degli ultimi decenni anche in Toscana.
Possiamo provare, se non sbagliamo, a rendere esigibile il diritto alla salute delle persone in ogni fase della loro vita (salute che non è solo assenza di malattia).
Le cause dell’arretramento della sanità pubblica sono ormai note: meno 27 miliardi di risorse negli ultimi dieci anni, diminuzione del personale sanitario pubblico (rispetto al 2012 il calo dei medici è del – 3,5%, degli infermieri del – 3,0%). In totale 25.808 unità in meno. Noi disponiamo di 39 medici ogni 10 mila residenti. La media europea è di 43 medici. Ancora peggio per il personale infermieristico: noi abbiamo 58 infermieri per 10 mila residenti, la media europea è di 129. La spesa sanitaria pubblica in Italia è di 1.900 euro a cittadino, poco più della metà di quella tedesca, il 66% di quella francese, l’80% di quella inglese. Basterebbero queste cifre per capire che non c’è storia. In dieci anni abbiamo chiuso quasi 200 ospedali (strutture vecchie ed obsolete e pertanto anche pericolose e non adatte alla moderna medicina) ma soprattutto abbiamo perso 45 mila posti letto. Oggi ce ne sono 330 ogni 100 mila abitanti, in Germania sono 800 e la media europea è di 521. Ma la battaglia per il diritto alla salute si vince soprattutto sul territorio e anche qui siamo molto in ritardo.
Bene gli ospedali per intensità di cura, moderni ed efficienti (ovviamente con un numero adeguato di personale che oggi non c’è) ma occorre investire di più nel territorio, riuscendo a capire e conoscere meglio i bisogni di salute della popolazione, non dimenticando che questi cambiano in relazione all’età, all’inquinamento dell’aria o quello acustico, alla vocazione produttiva che può essere diversa da Comune a Comune anche se limitrofi. Ai bisogni di salute diversi occorrono risposte sociosanitarie diverse.
Il Servizio sanitario nazionale basa la sua “mission” sulla capacità di essere universalistico e solidale. Nei suoi compiti fondamentali rientrano l’erogazione e il finanziamento dei LEA su tutto il territorio nazionale. Questo viene realizzato con un rapporto stretto con le Regioni, che a loro volta sono chiamate a organizzare e programmare l’attività sanitaria e sociosanitaria (anche i Sindaci dovrebbero battere un colpo...). Non sempre le risposte sono appropriate, in tempi accettabili, uguali per tutti. E questo è uno degli altri problemi che abbiamo di fronte: non ci possono essere cittadini di serie A e di serie B. E’ un dato di fatto che chi abita nelle zone interne non ha le stesse opportunità di vedersi riconosciuto il medesimo diritto alla Salute.
In questo contesto il medico di famiglia è il responsabile della cura globale della persona, rappresenta l'accesso del cittadino al sistema sanitario nazionale e ha il compito di coordinare l'intera vita sanitaria dei suoi pazienti. Ma in Italia il medico di medicina generale, a differenza dei medici ospedalieri, non è un dipendente bensì un libero professionista convenzionato con le aziende sanitarie locali.
Mi preme sottolineare che da tempo questo rapporto professionale fra MMG e Servizio Sanitario Nazionale è entrato in crisi e presenta molte criticità a partire dal percorso di studi (nel resto del mondo occidentale i medici di medicina generale si formano nelle università, si specializzano nelle università, da noi invece solo dopo la laurea devono fare un corso triennale gestito dalle Regioni e dallo stesso sindacato di categoria Fimmg). Sono un sostenitore convinto che occorra che questo professionista debba essere maggiormente integrato nel sistema sanitario pubblico. Credo inoltre che la presenza dei “medici di famiglia” dentro le Case della Salute sia necessaria e non rinviabile e non può continuare ad essere un optional. Le Case della Salute (quelle “vere”) fanno bene ai cittadini e al sistema sanitario regionale. Pertanto bisogna insistere perché la medicina generale diventi una specialità identica a tutte le altre, che le modalità di accesso siano le stesse di quelle previste per il restante personale del SSN e che pur mantenendo alcune specificità, il contratto sia quello del personale dipendente. Una vera rivoluzione indispensabile per dare risposte adeguate ai cittadini e prepararci al meglio alle altre emergenze che verranno.
In sintesi credo che occorra:
- un piano straordinario di assunzioni nella sanità pubblica (non solo coprire il turn over ma implementare le dotazioni organiche e procedere immediatamente a nuove assunzioni);
- rivedere il percorso universitario non solo per i medici di medicina generale;
- prevedere maggiori risorse per finanziare il Servizio Sanitario nazionale;
- rivedere la figura del medico di medicina generale (medico di famiglia);
- recuperare la centralità del “territorio” per dare risposte più efficienti ed efficaci ai bisogni di salute;
Insomma, occorre mettere in campo, una vera è propria inversione di tendenza. Ma occorre passare dalle parole ai fatti. La frattura che si è creata con tanti cittadini è superabile solo se si modificherà (in meglio) il Servizio sanitario pubblico.