di Daniele Quiriconi, Segretario Generale CGIL Pistoia
Il sociologo Paolo Giovannini, sull’Unità di venerdì 28, a commento del consiglio regionale straordinario sull’economia toscana, sviluppa una serie di considerazioni in realtà non nuove, ma che hanno il sapore dello stereotipo accademico senza, a mio parere, lo sforzo di leggere i processi reali del paese e anche delle nostre realtà locali.
Nella mia provincia, il sindacato, con il decisivo supporto delle Istituzioni, è riuscito, al termine di una dura vertenza costata 120 ore di sciopero e mesi di scontro molto aspro, a realizzare il noto accordo sulla Kartos che salvaguarda tutti i 114 dipendenti della storica azienda di Montecatini, posta in liquidazione in Luglio, con annesso progetto speculativo immobiliare e licenziamento in tronco di tutti i dipendenti. Si è trattato di un’intesa intelligente che ha consentito di salvare il grosso del profilo industriale, delle competenze, delle professionalità, del marchio, di un’azienda ancora con un grande potenziale di mercato, ricollocando parte dei lavoratori in attività diverse. Ma si è trattato anche di un caso assai raro e fortunato.
Qualche mese prima, il pastificio Maltagliati, altro marchio storico, a pochi km. di distanza aveva cessato l’attività, con identico progetto immobiliare e l’esito è stato purtroppo diverso; in queste settimane, a Pistoia, dal licenziamento di 105 lavoratori di un’impresa commerciale in via di fallimento, stava per vedere la luce un’ulteriore progetto speculativo per aree commerciali e un centinaio di appartamentini da costruire sull’immobile dismesso, bloccato per ora, dall’iniziativa sindacale e da un parere negativo del comune.
Potrei continuare, la faccio breve perché questa deriva è comune a tutto il paese e credo renda bene il senso dei processi in corso.
Stiamo parlando di rendite speculative che si generano sulle macerie dell’industria.
Cosa c’entrano la grande impresa sopra i 500 addetti, il supposto riferimento culturale industrialista del sindacato, la difesa delle aziende decotte, le trasformazioni epocali, il mondo che tira da un’altra parte e così via?
Del resto, bisognerebbe essere davvero miopi se non ci accorgessimo o non valutassimo la dirompenza dei processi mondiali, la nuova ripartizione internazionale del lavoro e così ottusi da non guardare neanche il profilo dei nostri iscritti, che oggi sono in prevalenza nei servizi e nel terziario.
Il punto è un altro: regge un sistema di servizi di qualità, senza un’industria di qualità? Oppure dobbiamo rassegnarsi ad un mercato del lavoro cialtrone, che offre contratti a 400 euro al mese nei call center a giovani spesso laureati e frustrati costretti a quei lavori perché i “datori” sono più interessati ad assumere lavoratori con basse qualifiche e scarsa istruzione, che sono lo specchio delle loro produzioni; nella mia provincia negli ultimi 25 anni all’80% le stesse (tasso di sostituzione media dei prodotti in Europa 50%) ?
Assicuro che dalle mie parti non sono le grandi imprese ad essere maggiormente in difficoltà, ma le piccole che non si internazionalizzano, non innovano, non possono collegarsi a centri di ricerca, non aprono show room all’estero e non innovano i prodotti.
Stiamo parlando di province come la mia, con dimensione media di impresa di 4.3 dipendenti che nei servizi e in edilizia arrivano al 2.4.
La crescita è decisiva, insieme alla razionalizzazione delle miriadi di centri di ricerca, di innovazione e quant’altro, anche in Toscana quasi sempre partecipati dal pubblico, che non so francamente con quanto profitto contribuiscano a far uscire dalla crisi.
Ecco perché il tema della crisi industriale è centrale, se vogliamo discutere di qualità del lavoro e qualità dello sviluppo. C’è da sgomentarsi al rischio che riparta una campagna sulla Toscana da cartolina, sulla società del bello, del turismo della comunicazione, del “nuovo” tanto cara al Professor De Masi e di ricerche condotte sempre meno sul campo e sempre più in laboratorio.
Si può parlare anche con gli imprenditori e le amministrazioni pubbliche anche di questo? Io penso di sì e non è utile divagare !
Superiamo le pigrizie, torniamo a parlare di lavoro, capiterà magari di incontrare anche fenomeni nuovi di salario legato agli obbiettivi, come il caso di quel mio delegato di un’impresa di servizi e di call center, che trovandosi in un’azienda che fatica ormai a trovare giovani da impiegare in quelle mansioni e con quei salari, si vede proporre un premio di 25 Euro per ogni nominativo di potenziale assunto fornito. Carino no?
Il tema però non è il salario legato all’obbiettivo, ma il perché non si trovano lavoratori che vadano a lavorare lì. Prudenza...