Ancora negazione di diritti per le lavoratrici e i lavoratori nella cooperazione sociale
Ancora una volta siamo a evidenziare alcune problematiche legate al mondo della cooperazione sociale, che continuano a emergere anche nel nostro contesto territoriale.
Da tempo la Cgil ha fatto la scelta, molto esplicita in merito, di stare dalla parte dei lavoratori e dei soci-lavoratori. Questa scelta ha determinato la decisione di condannare un sistema iniquo di appalti pubblici e privati basati sulla logica del massimo ribasso e del risparmio sul costo del lavoro e di fare emergere casi ed atteggiamenti arroganti e padronali.
Premesso che la logica del massimo ribasso, almeno in Toscana, dovrebbe essere stata superata da tempo con l’introduzione dell’offerta economicamente più vantaggiosa e che comunque le aziende appaltatrici sono tenute al rispetto dei contratti collettivi, non possiamo ignorare che permangono ancora condizioni di forte contraddizione e disagio.
Da tempo siamo impegnati a contrastare questi meccanismi selvaggi di esternalizzazione o, peggio ancora, di intermediazione di manodopera, che si scaricano sui lavoratori e sulle lavoratrici condannandoli ad un destino di precarietà e di salari da fame.
In questa ottica abbiamo dato vita ad importanti accordi a livello regionale e locale e ci riferiamo in particolare al Protocollo di intesa tra enti locali, Asl e parti sociali sulla gestione degli appalti e degli affidamenti dei servizi degli enti locali nella provincia di Pistoia, stipulato ad agosto del 2006.
In questo significativo patto si sottolinea l’esigenza di valorizzare e rafforzare gli strumenti esistenti in materia di garanzia nella gestione dei servizi e delle attività in affidamento da parte delle Pubbliche Amministrazioni e delle Aziende di loro emanazione, nonché di tutela dei diritti dei lavoratori, di salvaguardia dell’occupazione e di contrasto al lavoro irregolare.
Ma evidentemente questo impegno non basta.
Infatti, anche nella nostra provincia, accanto alle buone prassi ed accanto ad esperienze significative e di qualità, continuiamo a verificare l’ emergere di situazioni di segno opposto, laddove in particolare il terzo settore è stato assunto come mero strumento di compressione dei costi, anche attraverso la forte presenza di lavoratori immigrati, talvolta altamente qualificati, i quali hanno grandi difficoltà a denunciare situazioni illegittime, poiché sono più facilmente ricattabili. In alcuni specifici casi, poi, la totale mancanza di disponibilità della parte datoriale ad aprire confronti, la persistente non applicazione delle norme del contratto e la negazione di diritti elementari portano all’ inevitabile aumento di aree di lavoro precario, nonché alla drastica riduzione dei diritti del lavoro dipendente, con un conseguente inquinamento del mercato (poiché è evidente come tali comportamenti danneggino anche quelle cooperative che invece applicano in maniera corretta i CCNL e i protocolli d’intesa).
La conclusione a questa riflessione induce ad una domanda che ci poniamo da tempo: se ciò che effettivamente interessa sia la qualità dei servizi sociali oppure se più semplicemente si tratta di erogare servizi che sono ritenuti più o meno indispensabili (assistenza, educazione, formazione, lavoro) al minor costo possibile.
È necessario, dunque, nella cooperazione sociale, ripartire con una maggiore attenzione ed un maggiore controllo da parte degli enti locali e degli amministratori per arrivare ad un compromesso tra qualità dei servizi e quindi qualità offerta ai cittadini e agli utenti e qualità della vita dei lavoratori impegnati in tali servizi.