SPI Pistoia
Il presidente di Confindustria dice di essere a favore dell’obbligo vaccinale ma non chiede al Governo e al Parlamento una apposita legge, unico strumento che costituzionalmente potrebbe prescrivere tale obbligo. Invece pensa di introdurre l’obbligo al green pass nei luoghi di lavoro attraverso un protocollo fra le parti sociali, come se questo fosse ragionevolmente possibile senza un supporto normativo.
Da un lato Bonomi non vuole “disturbare il manovratore” politico richiamandolo alle sue responsabilità, dall’altro la responsabilità la scarica sul sindacato che in questi mesi, con tutti i mezzi, si è impegnato fino in fondo per contrastare la pandemia, compreso il sostegno che sta dando e che darebbe ad una generalizzata campagna vacinale.
23 agosto 2007. Bruno Trentin.
Il coraggio di assumersi le responsabilità, il saper guardare oltre agli interessi corporativi , la capacità di rappresentare i lavoratori con autorevolezza e la scelta della unità dei lavoratori come prerogativa per far valere le nostre ragioni e per “resistere un minuto di più del padrone”’. Il privilegio di essere parte della cgil e di aver conosciuto compagni che hanno fatto la differenza.
Un piccolo gesto di solidarietà
contro “la solitudine nelle RSA” accompagnato da una nostra riflessione/proposta.
Pistoia, 4 agosto 2021
Come Spi Cgil di Pistoia abbiamo deciso di donare a tutte le RSA (n.19) presenti in Provincia di Pistoia, l’abbonamento al nostro mensile “LiberEtà”. Un giornale pieno di idee, notizie, approfondimenti, di consigli, ma anche svago. Un giornale non solo per pensionati. Un giornale che può aiutare a trascorrere qualche ora in tranquillità sentendosi meno soli. Il problema degli anziani, soprattutto non autosufficienti, è un problema serio, da sempre sottovalutato, soprattutto oggi al tempo della pandemia. Un piccolo gesto che si affianca ai molti altri che i volontari dello SPI svolgono ogni giorno per dare un senso al nostro essere “comunità”.
Noi abbiamo particolarmente a cuore i pensionati (e di conseguenza gli anziani). Uno degli effetti collaterali di questa pandemia, soprattutto per chi era ed è ricoverato nelle RSA, è stata la solitudine: quella di chi non ha potuto vedere i propri figli, i genitori, i compagni.
Anche per questo siamo convinti che le RSA debbano essere ripensate (un ripensamento profondo), occorre una “riconversione” delle attuali strutture verso un modello di assistenza che possibilmente consenta agli anziani di essere curati e sostenuti sul territorio e, ancora meglio, a casa propria.
Dopo il dramma Covid, si guarda anche al loro futuro. Un futuro in cui le Residenze per anziani non siano più luoghi in cui la morte riesce a farsi strada, ma luoghi a tutela della vita e del benessere di chi vi risiede. Un cambio di passo, dunque, rispetto all’attuale assetto del sistema sociosanitario che si caratterizza per una copertura frammentaria dei bisogni della non autosufficienza e per uno scarso livello di integrazione delle prestazioni, risultando sempre più inadeguato a rispondere efficacemente alle sfide del presente e del futuro, considerati i profondi mutamenti che stanno attraversando la nostra società.
Negli anni sono state molte volte la soluzione “più semplice” per affrontare e cercare di risolvere il problema delle persone non autosufficienti. Ma così non può continuare: è necessario modificare questa situazione. Dobbiamo potenziare le cure domiciliari, le strutture intermedie e le forme di residenzialità leggera, solo così sarà possibile ridefinire il ruolo delle RSA, che non devono essere “contenitori di ogni disagio” o surrogati degli ospedali per malati cronici terminali.
Chiediamo strategie di de-istituzionalizzazione e aging in place (concetto che sta a significare la possibilità per una persona di vivere nel luogo che ha scelto – casa propria, nella sua comunità – in modo sicuro, indipendente e confortevole). Questa scelta di vita è molto apprezzata perché permette di mantenere la propria indipendenza e la possibilità di vivere circondati da familiari e amici. Perchè preservare la propria autonomia vuol dire possedere il controllo decisionale e di scelta nel determinare la propria vita. Ma per fare questo occorrono telemedicina, domotica, rimozione di barriere architettoniche, strutture residenziali leggere inserite nelle comunità (centri servizi polifunzionali, co-housing, …) e associate alle RSA.
Bisogna evitare una rigida separazione tra il “malato” e il resto della comunità. Andrebbe incentivata l’ubicazione delle strutture in siti non periferici rispetto ai centri abitati e bisognerebbe sensibilizzare maggiormente le persone circa l’importanza che può avere la scelta di una struttura situata in prossimità dell’abitazione dell’anziano. Gli scambi con l’esterno non possono limitarsi alle visite dei parenti ma devono comprendere un’apertura verso il territorio (scuole, parrocchie, associazioni) che gli anziani, se hanno la possibilità, con l’ausilio degli operatori, devono poter frequentare.
Ricordiamoci che nelle RSA sono ospitate le persone più fragili, quasi sempre non autosufficienti e comunque con quel tipo di bisogni che l’invecchiamento e il crescere delle patologie croniche determina. È evidente la necessità di avviare una riflessione, un ripensamento su tutto il sistema di assistenza a partire dal modello di base, perché è vero che è urgente accelerare i tempi della legge nazionale sulla non autosufficienza, ma è anche obbligatorio pensare a come cambiare il sistema attuale delle Residenze assistite che ha dimostrato anche in questa occasione tutti i suoi limiti.
Quindi accanto alla “riforma” delle Rsa sarebbe anche utile cominciare ad estendere i primi esperimenti di co-housing. Quando ci sono anziani che non hanno ancora problemi di non autosufficienza, ma magari hanno difficoltà nel fare la spesa o hanno la necessità di un sostegno sanitario minimo (il controllo della pressione o le medicine da prendere), potrebbero provare a convivere con altri anziani o con altre persone, soprattutto famiglie composte da giovani.
C’è molto da fare, ma non possiamo perdere questa occasione. Possiamo dare una svolta a come ci occupiamo degli anziani, di quali possibilità di vita offriamo loro, di come li possiamo fare sentire ancora partecipi della comunità. Come ha scritto Concita De Gregorio, “essere anziani è il nostro futuro” e sarebbe bene che chi ancora non lo è si ricordasse di questa lapalissiana verità. E a cuore dovrebbero averli in primis chi governa il Paese, le Regioni, i Comuni fino ai vari istituti, aziende pubbliche e private.
Andrea Brachi
segretario generale SPI CGIL Pistoia