"L'orto che rinasce.Il futuro raccontato da nonni e nipoti"

Care compagne e compagni,
vi allego questo emozionante articolo pubblicato sul nostro giornale "LiberEtà" (sul sito internet del nostro giornale 25 maggio 2020). E' un intervista a Celio Cipolli, al suo mondo, alla sua/nostra Storia, da leggere tutto di un fiato e da divulgare. Grazie Celio per le cose che hai detto, per la tua vita e per quello che ci hai insegnato e ci continui ad insegnare.
Con affetto da parte di tutto lo SPI CGIL di Pistoia.
Andrea Brachi
segretario generale SPI CGIL Pistoia
 

L’orto che rinasce. Il futuro raccontato da nonni e nipoti

 

Nonni e nipoti a confronto sul futuro. Come sarà il nostro domani? In che modo la pandemia ha cambiato orizzonti, aspettative e speranze? Lo abbiamo chiesto a tanti nonni e nipoti che per più di due mesi non si sono potuti vedere ma sono rimasti in contatto con il telefono e le videochiamate. Ora eccoli riuniti virtualmente in un confronto tra generazioni sul futuro che ci attende. Una doppia testimonianza per ogni puntata.


Tutte le mattine si alza presto, se ne va nel suo orto a zappare. Si reputa fortunato, ad aver avuto quel lembo di terra durante i mesi del lockdown. Celio vive nelle campagne pistoiesi. Ha 82 anni. È un attivista del sindacato dei pensionati Cgil, per una vita ha fatto l’autista di scuolabus. Lo conoscono tutti, Celio. Eppure per settimane non ha visto nessuno, non è uscito di casa. “Ma io sono fortunato. Anche per la spesa ce la siamo cavata, non solo perché mio figlio ci ha portato sempre tutto, ma poi abbiamo anche le nostre verdure”.

Orto, aria aperta, fortune che non tutti hanno. E Celio lo sa bene. Ed è riconoscente per tutto quello che ha. “Ho piantato gli ortaggi nelle prime settimane dell’emergenza e poi ho aspettato di vederle crescere”. Un po’ come il futuro delle sue nipoti. “Penso che dobbiamo prepararci al futuro in modo diverso da prima. Abbiamo cambiato abitudini per un po’ di tempo, anche perché avevamo paura. Ora dobbiamo continuare ad essere responsabili. Ma le incertezze sono tante”. Celio però non pensa solo al coronavirus. “La mia più grande preoccupazione è quella per i miei nipoti. Chissà che mondo troveranno, come sarà organizzato. Noi non ci saremo più tra qualche tempo e non potremo vedere. Ma penso sempre che i ragazzi abbiano tante risorse e poi loro a questo mondo ci sono dentro, ci cresceranno dentro, forse i cambiamenti che a me spaventano a loro peseranno meno”.

Ecco tutta la consapevolezza di appartenere a un’altra generazione e i timori per i figli e i nipoti, dettati da esperienza e concretezza ma anche da schemi diversi che fanno sì che la realtà venga letta in maniera differente. Ecco allora anche tutti i timori legati alle relazioni sociali: “ho paura che la tecnologia renderà sempre peggiori le relazioni. Ora le tecnologie ci sono state utili, soprattutto in questo periodo di emergenza. Ma poi dobbiamo ricordarci che le relazioni tra le persone sono altra cosa. Certo, noi eravamo di un’altra generazione, per noi i rapporti tra amici erano diversi. Non possiamo chiuderci dentro gli strumenti tecnologici, altrimenti i rapporti reali finiscono”, dice con amarezza, ma anche con spirito propositivo. Lui le relazioni continua a coltivarle di persona, ovviamente ora nei limiti di ciò che è consentito. Ma la riapertura delle sedi dello Spi consentirà a Celio di tornare, almeno in parte, a coltivare i suoi rapporti, dando il proprio contributo alle attività del sindacato.

Una delle sue nipoti sta finendo la quinta elementare, troppo timida per raccontarci la sua visione del futuro. Lucrezia invece è più grande, ha 15 anni e fa il primo anno di liceo. Il lockdown ha stravolto le sue abitudini: “non mi aspettavo di restare chiusa in casa per due mesi. Ho tagliato tutti i miei legami sociali ma ho provato ad affrontare la situazione nel migliore dei modi”. I momenti di sconforto non sono mancati, “ma quando mi sento giù, e penso a quanto mi mancano i miei compagni di classe, provo a immaginare la normalità com’era prima e a come sarà poi in futuro”.

Ma c’è anche un grande senso di realtà nelle sue considerazioni: “le precauzioni devono essere massime, non possiamo rischiare. E spero in un futuro migliore”, da tutti i punti di vista. “La mia speranza più grande è di essere felice e di vivere bene, nonostante intoppi come questo”. Ecco, i pensieri radiosi degli adolescenti. Semplici e complessi allo stesso tempo. Già, cosa c’è di più semplice e difficile che desiderare di essere felici?
“Vorrei diventare un ingegnere, so che è dura, ma vorrei farcela”. Per ora il coronavirus non ha stravolto più di tanto il sogno nel cassetto di Lucrezia. Ma adesso pensa al presente: “mi mancano i miei compagni di scuola e mi manca la scuola, mai avrei pensato di dirlo!”, dice divertita e stupita dai suoi stessi sentimenti.

Ecco allora che il futuro è un po’ i frutti dell’orto, ma anche come l’ottimismo di un adolescente che vuole diventare grande, nel migliore dei modi.

 
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